#LaPromessa2024
È forse l'impresa più difficile delle varie Promesse.
Se con Six Feet Under mi sono ritrovata a fare maratone di episodi per riuscire a concluderla in tempo, se con I Soprano ho faticato ad entrare in sintonia con i personaggi e la loro evoluzione e se con The Wire sono impazzita a trovare dei sottotitoli che mi aiutassero a capire il baltimortese, con Deadwood ho semplicemente faticato a tenere gli occhi aperti.
In 36 episodi e un film posso dire di essere riuscita a rimanere sveglia solo una sera su 19 (due episodi a sera + una dedicata al film).
Colpa del western, mi sono detta, che nemmeno Sergio Leone figurarsi Kevin Costner mi ha reso appetibile.
Colpa però anche di tempi televisivi molto diversi da quelli di oggi, e di un linguaggio arcaico che non aiutava né me né il giovine -suo malgrado coinvolto nell'impresa- a riuscire a capire cosa stesse succedendo. Il più delle volte niente.
O meglio, il più delle volte i lunghi monologhi di Al per non parlare del sempre accigliato per i fatti suoi Cy parlavano per 5 minuti e noi ci dicevamo "ma quindi c'è l'ha solo con xxx?" risposta "Sì".
Pur essendo per molti una delle migliori serie TV di sempre, pur essendo un prodotto HBO di punta, pur avendo fatto fare un tuffo al cuore ai fan che si sono visti inspiegabilmente (sì, certo...) cancellata la serie TV con un finale monco, io sto dalla parte di chi una serie TV l'ha cancellata.
Perché ho faticato a trovarci un senso, anche se un senso per un popolo come quello americano privo di storia e che deve raccontare a più non posso la sua storia migliore -l'epopea western e la corsa all'oro- qui c'è.
Deadwood è una città fondata fuori dall'Unione, un manipolo di scappati di casa, di fuorilegge e cercatori d'oro che si installano in territorio Lakota -nativi che però poco si vedranno, il più delle volte dentro una scatola- e oltre a costruirla da zero questa città cercano di darsi una regolata.
Tre bordelli, un hotel, una ferramenta, un dottore, un giornale e una linea d'oro che appartiene a una vedova volubile (Alma assuefatta, Alma l'amante, Alma la banchiera, Alma la sposata, non l'ho mai capita. Mai.), e ovviamente uno sceriffo.
C'è di che rimboccarsi le maniche nella città in cui viene ucciso pure il famoso pistolero Bill Hickok, troppo in fretta nella prima stagione per capirne davvero l'aurea d'importanza, per capire lo sconforto annegato nell'alcool in cui finisce la prode Calamity Jane di cui ho mal sopportato la caratterizzazione eccessiva. Ed eccessiva è un eufemismo.
Uno dei tanti problemi di Deadwood è che ci sono così tanti personaggi che si fatica a stare dietro e a dare un peso alle loro storie.
Dal dottore dal cuore d'oro agli immigrati cinesi, dalla compagnia teatrante che niente aggiunge (e che nemmeno si palesa nel film) al predicatore vittima del suo stesso Dio, da stallieri neri a sindaci doppiogiochisti come E.B. Farnum passando per prostitute di ogni ordine e grado.
La prima stagione vede il nuovo arrivato, l'integerrimo Seth Bullock alla ricerca dio una vota tranquilla riprendere il vecchio ruolo di sceriffo e cercare di far rispettare l'ordine a Al Swearengen, che dal balcone del suo bordello detta legge, non ha problemi a uccidere e disfarsi dei corpi grazie a maiali cinesi sempre affamati.
Ma presto Al si dimostra più intelligente di quel sembra, e con una sua coerenza e l'arrivo dell'arrivista George Hearst che vuole mettere le mani su una miniera d'oro e sulla città stessa, si allea con Bullock e soprattutto inizia a proteggere la città e i suoi cittadini più in vista. Vedova Alma compresa.
Una città in cui riescono a sopravvivere pure dei bambini, e non parlo dell'ondata di vaiolo che decima la popolazione o di cavalli impazziti che mettono un nuovo peso sulle spalle di Bullock, parlo di un'orfana svedese che Alma si ritrova a crescere e che muta inizialmente tutto osserva.
E le altre due stagioni?
Accade poco, poco si dipana, e c'è così poca inventiva da scegliere uno stesso attore per un ruolo diverso a confondere di non poco le acque mentre il cattivo che deve palesarsi -il futuro senatore George Hearst- non innalza il mio livello di partecipazione.
Un sussulto solo per le brevi apparizioni di Sarah Paulson e Kristen Bell prima della vera fama.
Com'è che sono finita a vedere una serie così fuori dalla mia comfort zone?
Tutta colpa della mia cotta verso Timothy Olyphant e del suo essere sempre uno sceriffo con un capello in testa.
E di non aver mai capito cosa meritava la pena di recuperare: Justified o Deadwood?
Ora so la risposta.
Qui, poi, l'ho trovato spesso fuori luogo, per colpa di - non riesco a vederlo nei panni di un uomo dal carattere focoso -in tutti i sensi- e dall'aria così silenziosa e tetra.
La scena gliela ruba allora Ian McShane, con il suo profluvio di Motherfucker, con le sue sentenze lapidarie e le sue uscite che regalano un sorriso in mezzo a tanti punti di domanda.
Every step an adventure dedicata alla sguattera Jewel lo metterei al primo posto fra i momenti migliori se solo la serie si meritasse il mio impegno in miniclassifiche e GIF, al fianco del mitico Richardson e di uno dei tanti surreali dialoghi con Mister Wu che tre parole sa di inglese e una è proprio Motherfucker.
La serie è pur sempre HBO e se non si contano le scene di sesso ma anche i nudi integrali, si conta il linguaggio scurrile per davvero: Wikipedia mi informa dei 2,980 "fucks" pronunciati e della media di 1.56 "fuck" per minuto.
Alla faccia di questa scena di The Wire.
E il film?
Il film arriva con 13 anni di ritardo e viene ambientato 10 anni dopo i fatti che hanno visto Trixie tentare di uccidere malamente Hearst e le elezioni venire vinte da un suo uomo di fiducia.
E dopo 10 anni con chissà quanti altri morti ammazzati, non solo ritroviamo tutti ma proprio tutti i personaggi principali ancora in vita, compresi gli scagnozzi sacrificabili di Al (anche se Dan mi ha regalato una delle scene di lotta più truculente mai viste) ma non per meri motivi logici Cy (grazie al cielo! e Richardson (sigh) visto che Powers Boothe e Ralph Richeson erano già passati a miglior vita nella realtà.
Dicevamo, 10 anni dopo e Trixie, futura madre ancora tormentata dalla faccenda e dal sacrificio dell'ignara prostituta Jen per salvare lei, rimette tutto a repentaglio.
Si parte da questa premessa bizzarra, per tentare di dare risposte e chiudere nodi?
Non sembra.
Anche se si cerca di farlo con un matrimonio, come già era stato nel finale della seconda stagione, che originalità.
Si intrecciano ancora decisioni, si piangono ancora vecchi morti come Bill e nuovi morti come il buono Charlie Utter, ma in fondo da non fan della prima ora e da non fan in generale, questo film mica me lo spiego né mi spiego gli applausi che si è preso.
Probabilmente è mancato un pezzo a me di una storia americana già nota e studiata sui libri di scuola.
Ma dopo 19 serate divise in più di due mesi in cui ho faticato a stare dietro a questi personaggi, ad apprezzarli e a giustificarli, a trovare centrato Timothy nel ruolo, concedo a Deadwood un unico merito.
La me di inizio serie si stupisce a dirlo visto l'odio che per lui provavo, ma fortuna che c'era Al.
Con le sue tirate, i suoi monologhi, le sue uscite, i suoi lavoretti e omicidi e pure i suoi calcoli renali.
Unico miracolo di questa difficile promessa dentro LaPromessa è essere riuscita a cambiare idea su di lui e a piangerlo nel suo epitaffio finale, questo sì, perfetto.
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