Una è una donna infelice.
Una è stata prima di tutto una tredicenne innamorata, di un amore proibito, di un amore impossibile, che ha lasciato i suoi segni.
Una era innamorata di Ray.
L'amico dei genitori, con cui flirtare, con cui iniziare a vedersi, a scriversi, a parlare.
Di nascosto.
Un amore lungo tre mesi che ha cambiato tutto.
Per Ray, che viene incriminato e finisce in carcere, che deve ricostruirsi una vita, cambiare nome, traslocare e cercare di ricominciare.
Per Una, che da lui si è sentita abbandonata, che lo ha sempre difeso e sempre cercato.
Ora l'ha trovato, con il suo nuovo nome, con la sua nuova famiglia, nel suo posto di lavoro.
E decide di stanarlo.
Chi è, ora, la vittima?
È Ray che ha pagato il suo conto con la giustizia e viene importunato da Una, rischiando di perdere tutto se tutti vengono a sapere quello che ha fatto in un giorno decisamente complicato a lavoro e in famiglia?
È Una, troppo piccola per processare quanto fosse sbagliato il loro rapporto e ora troppo fragile per accettare di andare avanti? Lei che la sessualità la vive in modo non sano, tra incontri di una notte e seduzioni facili?
I due, si scontrano, si parlano, rivivono una storia dolorosa in cui la paura di entrambi, il senso di colpa di entrambi e l'amore di entrambi, fa sentire a disagio.
Non è questione di vendetta.
E in fondo neanche di amore.
Solo di dolore.
Nei giorni delle sentenze di oggi, in cui tutto è bianco o nero, in cui Ray è un lupo e Una una vittima, David Harrower -sceneggiatore della pièce teatrale Blackbird prima, e di questo adattamento poi- ci mostra tutte le sfumature di grigio che una storia così difficile comporta.
Benedict Andrews esordisce alla regia e si porta dietro il suo passato teatrale, in una distinzione di luoghi e di tempi, in una fabbrica che diventa palcoscenico, un passato immerso nella natura e in un motel di bassa lega in cui nascondersi per arrivare allo sfarzo di una festa in cui tutto potrebbe rompersi.
Se il film colpisce e non molla più, facendo pensare, tormentare e riflettere è merito di Ben Mendelsohn e di Rooney Mara, la loro fragilità, le loro cicatrici, il loro sentirsi persi si scontra in lunghe diatribe verbali e fisiche, con lo spaesato Riz Ahmed a finire in mezzo.
In lista da anni (almeno otto, visto che è del 2016), Una è una visione che spezza, che come il giurato di Clint chiede allo spettatore di ragionare, di immedesimarsi, di non sputare sentenze e di cercare di capire.
Di mostrare quanto è complicato andare avanti, quante cicatrici restano.
Non è più questione di ragione e di giustizia, e nemmeno di amore, solo di capire.
Voto: ☕☕☕½/5
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