Andiamo al Cinema
Due settimane dopo, ancora brucia.
Anche dall'altra parte dell'oceano un'elezione può creare malcontento, può pure fare paura.
Di nuovo, davvero?
Altri 4 anni, come si fa?
Nonostante le risposte di giornali, newsletter, podcast e profili social, nonostante l'incertezza e i sondaggi a favore, l'elezione di Trump continua a rimanermi inconcepibile.
Figuriamoci la rielezione.
Mentre cerco conforto in West Wing e in un Presidente degno di questo titolo come Bartlet, cerco di capirci di più anche attraverso i film.
Il cinema in questi anni si è schierato, facendo forse più danni.
Il cinema ha cercato di avvertirci e il cinema nei 4 anni passati e nei 4 anni successivi ha avuto la sua dose di creatività nel criticare un Presidente così.
Ci ha provato anche Ali Abbasi, iraniano naturalizzato danese che per il suo sbarco in America ha deciso di giocarsi una carta importante: una biografia su Trump.
Non di tutta la sua vita, non della sua scalata politica fulminante, ma quella altrettanto fulminante nel mondo immobiliare.
Giovane rampollo con molti debiti e una buona idea, costruisce un impero.
Come ha fatto?
Come ci si aspetta che lo faccia un uomo bianco negli anni '70 e '80 a New York: corruzione, truffe, speculazioni, prestiti e molta, molta facciata.
E pure molta droga, e molto sesso, e molte maschere.
Ali Abbasi non si risparmia nella sua regia così come lo sceneggiatore Gabriel Sherman non rinuncia a mostrare operazioni estetiche, tradimenti e pure uno stupro ai danni dell'allora moglie Ivana forte di biografie accurate e deposizioni giudiziarie.
La trasformazione fisica di Sebastian Stan, appesantito e nascosto dietro cerone e parrucco, è impressionante. Ormai abbonato a impersonare personaggi ingombranti, qui lo si scorge appena riuscendo a non essere caricaturale ma lo si cerca sempre, cosa normale con un attore meno noto.
La somiglianza è minore per Maria Bakalova che riesce a rendere Ivana Trump meno arrivista, più innamorata, più sofferente in un matrimonio sempre più alla deriva.
Ma a rubargli la scena è Jeremy Strong. Non tanto per la sua recitazione apatica e insofferente che poco si discosta da Logan Roy, quanto per il personaggio che Roy Cohn è stato e rappresenta. Avvocato senza scrupoli ma con molta ipocrisia, mentore e insegnante di un Trump ingenuo che impara in fretta la lezione e la mette in pratica in modo ancor più senza scrupoli.
Roy Cohn è in fondo il vero protagonista, lui all'apice della carriera, capace di tutto e di avere tutti in tasca, nel suo crollo c'è quello che speravamo di vedere ma non vediamo, c'è una punizione che prova pure a rendercelo penoso, ma la realtà supera anche questi sentimenti.
Corre in fretta Sherman, corre così in fretta che sembra di assistere a un riassunto di anni spregiudicati e di un matrimonio infelice, di hotel, torri, casino e appartamenti lussuosi che nascono come funghi. Sembra che lo stesso film sia sotto anfetamina, pieno di energia a voler toccare momenti e fatti, lasciando molto fuori e non riuscendo così ad approfondire appieno parti più interessanti della vita di Trump come il rapporto con un padre-padrone o quello con un fratello maggiore non capace di sopportare la pressione in famiglia.
Ali Abbassi ci aveva già mostrato dei mostri, quelli che vivevano ai bordi di una foresta e scoprono la vera libertà nel mostrarsi per quello che sono e quelli che uccidono per conto di Dio supportati da altri fanatici.
Qui fa il salto, arriva in America e racconta il sogno americano di chi non fatica di certo a trovare la sua strada con il giusto maestro.
Pur ricostruendo interni e epoche, lo stile si avvicina a quello del documentario con la macchina da presa a mano, con una fotografia volutamente invecchiata o nitida in base ai momenti e agli anni, con una scelta di regia che indugia su espressioni e reazioni, su personaggi e le loro maschere e sembra dovere molto a Succession.
Non è una denuncia al vetriolo né rivela chissà quali segreti che già non si conoscevano, The Apprentice è il film che nessuno voleva produrre o distribuire per paura delle reazioni di Trump che però, per una volta, ha ragione.
The Apprentice è anche un film piccolo. Non diffamatorio ma anche meno incendiario di quel che si pensava, se Trump non fosse Trump, la storia di questo uomo bianco, della sua scalata e dei suoi investimenti, avrebbe sicuramente meno peso.
Ovvio.
Certo.
La trasformazione di Donald in Trump è veloce e sembrerebbe a un passo dal mostrarci la sua inevitabile caduta. Purtroppo siamo ancora nel 2024 e pur fermandosi sul finire degli anni '80 non ci sarà bancarotta, fallimento, divorzio o scandalo, nemmeno questo film, a riuscire a far cambiare idea agli elettori americani.
Voto: ☕☕½/5
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