Andiamo al Cinema
Un uomo cammina nel deserto, ha sete, non parla, chissà chi è.
Da questa immagine suggestiva parte Wim Wenders a raccontare una storia che ci mette il suo tempo per spiegarsi allo spettatore, che non ha fretta e che paziente cerca di carpire indizi, di colmare i vuoti di un uomo dalla memoria labile e dal passato misterioso.
Tutto inizia a spiegarsi con una telefonata, e poi un volo e poi un viaggio in auto che ricongiungerà due fratelli che non si vedono da 4 anni.
Nel mentre, il figlio di uno è cresciuto dall'altro che si ritrova nella complicata situazione di vedere infranta una pace familiare e di dover gestire il ritorno di un padre che un bambino fin troppo sveglio per la sua età, non ha mai conosciuto.
E la madre di quel bambino?
Che ne è stato di lei?
Si torna a viaggiare, allora, a ritroso.
Dopo una parentesi fatta di parole che lentamente escono dalla voce e dalla memoria di quell'uomo silenzioso, da filmati che mostrano una felicità che chissà dove è andata perduta, Travis parte e parte con il figlio con pochi indizi e la missione che sembra impossibile di trovarlo quell'amore perduto, quella madre che Hunter si merita.
E qui il film cambia ancora, un Road movie che quando si stanzia fa più male, un film silenzioso che nei suoi dialoghi, soprattutto quelli finali, affonda.
E pensare che la sceneggiatura non era ancora finita a inizio riprese, con Wenders e Sam Shepard a pensare che sarebbe evoluta naturalmente sul set, basandosi sulla chimica fra gli attori, sulle location scovate. Peccato che nel mentre Shepard avesse un altro film da mandare avanti, e quei dialoghi densi recitati davanti a uno specchio, uno specchio che riflette e che divide come la migliore delle metafore, sono stati dettati via telefono.
Il film cambia, come detto, e l'apparizione di Nastassja Kinski arriva come un fulmine che blocca tutto. Si gira appena, dal bancone del bar, e tanto basta.
Sarà il caschetto biondo, sarà il maglione rosa, sarà una bellezza innegabile, ma il film diventa stregato e porta Travis a cambiare, a pentirsi, a bere tutto quello che non gli abbiamo visto toccare fino ad allora.
Harry Dean Stanton ha quella faccia che la vedi e non la dimentichi più. Cowboy fuori luogo a Los Angeles, uomo elegante di stracci nel deserto, con barba o con baffi, con un figlio che non sa come crescere ma con cui sa comunicare, è qui nel ruolo di una vita anche se gli vorrò sempre bene come Lucky, ruolo finale che si riconcilia con questo successo. Sempre nel deserto, sempre in solitaria.
Esportato in America, Wenders non rinuncia al suo cinema dei sentimenti, che esplora con fatti e con parole le relazioni degli altri, tra fratelli, cognati, padri e zii e infine, beh, l'amore.
Sbagliato e tossico, come si direbbe oggi, ma capace di farsi perdonare e di cambiare.
Al cinema in una versione 4K restaurata dalla Cineteca di Bologna che scalda la fotografia di Rugby Müller, che rende personaggi in più sia quel deserto sia quelle strade, Paris, Texas riesce ad essere un film romantico e un film polveroso, rispettando l'ossimoro del titolo e uno scherzo pungente di un marito sbagliato.
Un eterno titolo che svetta nella lista dei miei film da vedere stile #LaPromessa. Prima o poi dovrò decidermi a vederlo...
RispondiEliminaMeraviglioso, io poi sono da sempre fanatico di Henry Dean Stanton, è stato bellissimo rivederlo in sala. Cheers!
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