Andiamo al Cinema
Di Legal Drama è pieno il mondo.
È piena la TV, in realtà, che sa come accalappiare i suoi spettatori, sa che la ricostruzione di un caso e il suo verdetto funzionano.
Funzionano anche al cinema, se la storia è quella giusta.
Se sa reggere ai ritmi frenetici di oggi, al tempo passato a studiare podcast e documentari true crime.
Che a riuscire a tenere testa alla questione sia un novantatrenne non deve stupire.
E non è giusto nemmeno nei confronti di Clint Eastwood stare qui a sottolineare continuamente la sua età, dopo averci regalato l'ennesimo, solido film.
Giurato n.2 non sbava, non eccede, scava e approfondisce e non sembra aver bisogno di altro che di una buona sceneggiatura e di ottimi attori.
La prima l'ha scritta Jonathan Abrams, al suo primo credito nel mondo del cinema, scelto da Clint per quello che sarà forse il suo ultimo film.
Gli attori in questione sono Nicholas Hoult, sempre più maturo e in vista, qui finalmente con un ruolo drammatico in cui mostra tutte le sue capacità: il senso di colpa, le incertezze, la lotta interiore di un uomo comune di cui sembra prendersi gioco il destino. Poi ci sono Toni Colllette, Chris Messina e Zoey Dutch, che riescono a rendere dei ruoli quasi da cliché -la difesa e l'accusa e la moglie incinta e devota- qualcosa di più di un semplice cliché. Riescono a rendere anche la loro lotta per la giustizia e la verità, per proteggersi nella loro carriera o nel loro privato, un tema su cui discutere.
Perché questo sa fare una sceneggiatura buona come quella di Giurato n.2 : sollevare dubbi, morali e etici, far mettere nei panni di un protagonista che si ritrova a essere giudice della sua stessa colpa, capace così di scamparla o di fare la cosa giusta.
Il repubblicano Clint non si gioca la carta della razza, ma con due colpevoli bianchi più simili di quel che sembra, mette contro la classe e la redenzione: il futuro padre di famiglia ex alcolizzato contro il beone da bar violento e membro di una gang.
Chi ha più colpe?
Chi ne esce peggio?
Solido nella sua semplicità, con la regia che dentro un'aula di tribunale si lascia andare a flashback e ricostruzioni, che indugia sui volti, sulle discussioni, di 12 uomini arrabbiati che devono trovare una quadra a un caso che sembrava già chiuso in partenza, Clint omaggia il grande cinema e fa grande cinema.
Alla sua maniera, senza eccedere, senza sbavare, facendo parlare i personaggi e i loro sguardi.
Riesce pure a dare un ruolo alla figlia Francesca senza dover scomodare il nepotismo, sapendo di avere a suo supporto un cast di attori caratteristi (J.K. Simmons, Kiefer Sutherland, Cedric Yarbrough, Leslie Bibb e Gabriel Basso) che proprio con lui volevano lavorare e che sanno brillare.
Una zampata così la si aspettava ancora da un maestro che non è stanco, una zampata così serviva prima delle feste che ci tormenteranno con effetti speciali e canzoni e fantasia e sequel senza fantasia.
Ancorati alla realtà, al giudizio degli altri e di sé, il cinema migliore resiste nella sua semplicità.
Voto: ☕☕☕½/5
Non vedo l'ora di recuperarlo!
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