Se la Giornata contro la violenza sulle donne era ieri, non significa che di un tema mai così attuale non si debba parlare anche oggi.
Con un tris di film che lo fa in modo diverso, ma puntuale:
I used to be funny
Sam era una promettente comica.
Era, appunto.
Qualcosa è cambiato, si è rotto e gli amici non sanno come aiutarla.
Solo riuscire a uscire dal letto è una vittoria, lavarsi vale quanto una medaglia e di parlare, beh, non ci sta.
Cosa le è successo?
Lo capiamo lentamente, attraverso flashback che la mostrano accettare il lavoro da babysitter a un'adolescente irrequieta la cui madre è ricoverata in ospedale, un lavoro come un altro per mantenersi mentre aggiusta il suo materiale, lo prova nei vari locali. Rapportarsi con una come Brooke le riesce facile, pure lei ha l'animo ribelle, più vicina in spirito a un'adolescente che al padre serioso che la scruta.
Lentamente, dicevo, si capisce che cosa è successo in quella casa, cosa spinge Sam a cercare Brooke ora che è sparita nel nulla, lasciando una zia in agitazione e la polizia a chiedere proprio a Sam se ha qualche indizio.
Rachel Sennot è ormai sigillo di garanzia di opere indie e non scontate.
Qui torniamo a vederla in un ruolo drammatico in cui si calca davvero molto la mano pur provando ad alleggerire il tema pesante della violenza e delle sue conseguenze, si scivola in una comicità stridente dentro al dramma.
Quella che Sam subisce è una violenza doppia, quella fisica che immobilizza e atterrisce, e quella psicologica nel doversi giustificare ancora e ancora e nel non sapere come ricominciare.
Come se ne esce?
Il film, riuscito a metà, trova una chiusa che passa attraverso la scrittura ma propria questa risulta meno curata, meno puntuale, del previsto.
Azzoppato da flashback e un presente meno interessante.
Voto: ☕☕½/5
Share
Mandy è una che si diverte.
Piena di amici, sportiva promettente, non disdegna qualche bicchiere di troppo alle classiche feste goliardiche del liceo.
Peccato che il giorno dopo, al risveglio con la testa pesante, le viene inviato un video. La protagonista è lei, svenuta, circondata da quelli che credeva amici, che abusano, scherzando su di lei. Lei che non ricorda niente. Che nemmeno li sa riconoscere tutti.
Che fare?
Vivere con la vergogna e passare sopra uno scherzo di cattivissimo gusto?
O denunciare, rovinando vite e carriere ma sentendosi un po' meglio, visto che la stretta allo stomaco non passa e la paura neppure?
Se l'è voluto lei, che sempre eccede, o questa volta sono gli altri i veri colpevoli?
Film targato HBO nominato agli Emmy qualche anno fa, se ne stava in attesa di visione e non ha deluso.
La qualità resta alta e la bravura della protagonista Rhianne Barreto le aprirà altre porte, ma il tema di una violenza in cui il confine tra vittima e colpevole è sottile, in cui sono i genitori a fare chiarezza su responsabilità e errori, più della scuola, più della stessa Mandy, rende questo Share un film che fa discutere e che va oltre i soliti schemi dei film sulla violenza.
Voto: ☕☕½/5
Il coraggio di Blanche
E poi arrivano i francesi.
Che sembrano raccontare una storia d'amore bellissima, fra due bellissimi che finalmente si trovano, si capiscono, si amano e mettono su famiglia.
Ma qualcosa che non va c'è da subito.
C'è un amore totalizzante che porta Blanche lontani dalla sua famiglia, da quella sorella gemella con cui ha sempre condiviso tutto, tempo, confidenze, festività e invece ora c'è solo Grégoire.
Solo lui, sempre, che lo porta via dal mare, che le regala una casa da sogno e non servirebbe nemmeno lavorare. Ma almeno questo, dopo anni, Blanche riesce a farlo, provocando liti e gelosie, chiedendo sempre scusa lei per prima.
Si sente in gabbia, una gabbia dorata ma pur sempre una gabbia.
Una gabbia che solo un'azione distruttiva può rompere: un amante, una fuga, uno sprazzo di libertà a ricordarle cos'è davvero l'amore, come va vissuto.
Così, però, la violenza diventa fisica, diventa un qualcosa da cui scappare e proteggersi, attraverso centri e avvocati e una sorella che la aiuta come può.
I francesi, si diceva, riescono a rendere più vera anche se più chic questa violenza.
Ma proprio per questi, sembra più vera.
Virginie Efira in un doppio ruolo che poteva essere più portante, è sempre di una bravura folgorante, mentre Melvil Poupaud con quella faccia un po' così rende sottile e spiegata una violenza che passa per commenti, suggerimenti, piccole frasi taglienti che annichiliscono.
La violenza è anche questa, prima di esplodere in modo visibile a tutti.
Stupisce che dietro un film a tratti didascalico e senza troppi guizzi ci sia Valerie Donzelli, che ad altro ci aveva abituato.
Ma senza troppi orpelli riesce a colpire più a fondo, a mostrare come dietro la vita apparentemente perfetta di una coppia da invidia, possa esserci ben altro.
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