Nella categoria del miglior film di animazione sgomitano fianco a fianco due portenti della plastilina:
Wallace & Gromit - Le piume della vendetta
Dici plastilina e dici Aardman.
Dici galline in fuga, dici pecore combinaguai ma dici soprattutto Wallace l'inventore pigro e il suo fedele cane Gromit.
Ma chissà come gioca la memoria, convinta com'ero che di Wallace e di Gromit fossero stati fatti chissà quanti film! E che pensavo pure di averli visti, di averne sorbito negli anni anche troppi.
Scopro invece che ce n'è stato solo uno, La maledizione del coniglio mannaro, e che dei cortometraggi della durata di 30 minuti circa, solo quattro, uno dei quei arrivato a vincere l'Oscar e che fa da prequel a questo secondo film.
Torna, infatti, l'ingegnoso Feathers McGraw, il pinguino che ne I Pantaloni Sbagliati aveva hackerato una delle tante invenzioni pazze di Wallace per rubare un prezioso diamante che ora sta per essere esposto nuovamente al pubblico.
Un ritorno perfetto, in grande stile, per chi da anni è recluso nello zoo cittadino, soprattutto se può far ricadere la colpa del furto sul prode Wallace che lo aveva fatto arrestare dopo un rocambolesco inseguimento in treno.
Come fare?
Hackerando un'altra delle sue pazze invenzioni, non più dei pantaloni robotici ma degli elfi robotici e tuttofare capaci di sistemare aiuole e giardini.
Per fortuna, come sempre, c'è Gromit a tenere alta la guardia, che dell'elfo zelante Norbit non si fida, che sente puzza di bruciato ma anche di indifferenza, con quel padrone che si ritrova a metterlo sempre in secondo piano, facendosi più pigro che mai.
Se con il coniglio mannaro aveva avuto da ridire con la produzione DreamWorks che chiedeva fin troppi cambiamenti per soddisfare il pubblico americano, questa volta Nick Park ha potuto avere la libertà necessaria, e se quel coniglio si ispirava al genere monster horror (in modo delizioso, sono passati vent'anni ma regge benissimo e che applausi mi ha strappato!) qui vira verso spie e doppi giochi, con un inseguimento al cardiopalma fra i canali inglesi che riesce pure a far scendere una lacrimuccia.
Al pinguino ladro continuo a preferire il coniglio mannaro, ma l'inventiva, la genialità e la prodezza nel trasformare la mera plastilina in personaggi così vivi, è rimasta intatta e fantastica.
Voto: ☕☕☕/5
Memoir of a Snail
Se l'animazione non è solo per bambini, non lo è nemmeno la plastilina.
Adam Elliot lo aveva già dimostrato con il film Mary & Max e il cortometraggio Harvey Krumpet.
Il suo stile, grigio e funereo, depressino vien da dire, lo sottolinea.
Ma proprio per questo riesce a conquistare.
Non sono mai tematiche facili, parla di reietti e di isolati, di uomini e donne sole e di vite difficili.
Partendo dalla sua, di vita.
Questa memoria di una lumaca non è da meno, ambientata in Australia, con due gemelli che rimangono orfani di genitori che sembrano avere avuto più di una sfortuna con cui combattere e che vengono divisi dai servizi sociali.
Troppo strani per essere adottati insieme Gilbert, piromane che non disdegna di fare a botte per difendere la sorella Grace, timida e impacciata e ossessionata dalle lumache.
È lei che ci racconta a ritroso la loro vita, piena di dolore e di cadute, sì, ma anche di inaspettati momenti di luce in un'infanzia squattrinata ma piena di libri e inventiva.
Come vivere felici, però, se distanti? Come farlo se si finisce con nuovi genitori che non sembrano capire il bisogno di tranquillità mentre il fratello è cresciuto da una famiglia ferventemente religiosa?
Cresce Grace, collezionando, rubando, attorniandosi di lumache e di oggetti a forma di lumaca, finendo quasi sepolta da loro.
Un'ossessione che parte dalla madre, ma che è metaforica: sono animali semplici, che si portano dietro la loro casa, che muoiono per lasciare il posto ai figli, che lentamente, molto lentamente, esplorano il mondo.
Per fortuna, nella vita di Grace, arriva Pinky, che di vite sembra averne vissute anche troppe, che le fa da mamma, da nonna, da zia suonata, che le insegna la tenerezza e il colore.
Forse solo grazie a lei riesce ad andare avanti e superare batoste che da spettatori lasciano a terra.
È una continua caduta e un continuo rialzarsi, è un racconto con voce fuori campo per rimanere dentro a un budget risicato che riesce però a coinvolgere Sarah Snook, Jacki Weaver e Nick Cave.
Il resto lo fa l'arte di Adam Elliot, in una storia con i suoi colpi di scena e con i soui momenti di poesia nonostante la depressione che mette in scena.
Superata una certa incredulità sui colpi che la vita assesta a Grace e Gilbert e di un finale quasi frettoloso e insperato nell'essere lieto, resta la bellezza di personaggi sghembi e ambienti e oggetti e case che sono piccole opere d'arte.
Voto: ☕☕☕/5
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