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Che brutta bestia che sa essere la maternità!
No, non è l'inizio dell'ennesimo monologo comico che mette in chiave ironica quanto può essere difficile crescere un figlio né l'ennesimo post sui social di mammine e influencer che dopo anni di racconti idilliaci, dove lamentarsi sembrava un reato, raccontano l'esperienza piuttosto destabilizzante e non certo facile di una maternità da gestire in un oggi in cui le mamme, appunto, sono chiamate a mostrarsi perfette e in ordine, senza uno sbaglio, senza una lamentela.
Dopo comiche, dopo i social, dopo i film comici ma profondi come Figli o come Babes, arriva Nightbitch.
Anzi, prima arriva un romanzo i cui diritti sono stati prontamente acquistati per farne un film, che il chiodo è meglio batterlo se non quando è caldo, almeno finché è tiepido.
L'idea originale nel raccontare una maternità tutt'altro che paradisiaca, è quella di farne un racconto quasi horror.
Body horror, volendo, e non per come il corpo di Amy Adams si modifica, prendendo peso e gonfiore, ma per come iniziano a spuntare peli lì dove non c'erano, protuberanze lì dove non si erano mai viste e denti più aguzzi che iniziano a preoccupare.
Un horror mistico, pure, dove l'artista in congedo che diventa una madre senza nome, sola con il figlio per gran parte della settimana e a lamentarsi di/con un marito pigro e incapace nel weekend che aumenta il carico già opprimente della gestione della casa, trova conforto e risposte in un libro che racconta di altre madri che si sono immerse nella natura come animali, per conforto.
Sono incubi, quelli che la vedono correre assieme ad altri cani, libera e a caccia, finalmente con la possibilità di lasciar andare i suoi istinti, anche i più sanguinolenti? O sta diventando paranoica, nell'incontrare la stessa triade canina al parco, nel trovare prede che sembrano omaggi sull'uscio di casa?
Che succede a questa artista che ha perso l'ispirazione, che non trova un equilibrio né fra gli artisti snob che frequentava né con un marito che non capisce le sue lamentele né con le altre mamme che sembrano fin troppo dentro la gestione dei figli per essere al suo livello, giudicante e sprezzante?
Quello che sembrava un racconto horror capace di prendere il volo, di divertire e di fare una grande metafora in escursioni notturne e in istinti lasciati galoppare, frena improvvisamente dopo un inizio fatto di fantasie liberatorie contro quel marito insopportabile (scusa Scoot, poteva essere il tuo anno ma tra A complete unknown e Speak no Evil sembri non avere fiuto) e di inventive efficaci ma chissà se produttive nel fingere con il figlio di essere dei cani.
Frena, appunto, con il freno a mano, quasi, buttando via il potenziale di quei sogni ricorrenti, quei ricordi di un'infanzia infelice e di una malinconia -per non dire depressione- comune con la madre e il mistero di una bibliotecaria che sembra saperne di più.
E si risolve con fin troppa facilità, disarmante e banale, nel trovare del tempo per sé, per correre e lavarsi, per esplorare una nuova arte che finisce in una mostra personale che riporta equilibrio, amicizie e pure l'amore.
Insomma, finisce a tarallucci e vino lì dove del sangue era già stato sparso e dove la metafora poteva essere portata per altri lidi, magari più rischiosi e di genere.
Si salva la regia di Marielle Heller, fatta di quadri notturni e di interni pastello, e si salva Amy Adams che si trasforma nuovamente, ma nemmeno a questo giro serve per portarla all'attenzione dell'Academy, anche se sembra piuttosto divertita in un set femminile e liberatorio.
Resta l'amaro in bocca a noi, allora, per come un film poteva essere -e il Trailer prometteva- e alla fine non è.
Rasati i peli e rientrati i denti aguzzi, la metafora sembra un altro progetto artistico che si aggiunge alla decostruzione della maternità scalfendo certi tabù, senza però graffiare davvero.
Voto: ☕☕/5
In effetti il libro conclude la vicenda in tutt'altra maniera, ma nemmeno quella mi ha lasciata soddisfatta. Quella del film è un apparente lieto fine che però lascia l'amaro in bocca. La verità forse è che una via d'uscita è davvero difficilissima da trovare e bisogna crearsela proprio con le unghie e con i denti.
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