7 febbraio 2025

Simon Killer

Prima di diventare il regista del più bel film di Venezia e tra i favoriti all'Oscar The Brutalist, Brady Corbet era attore.
Un attore di quelli impegnati, fin da giovanissimo.
Se esordisci con Thirteen, ritratto generazionale discusso e discutibile, la tua carriera sembra già segnata.
Ma a differenza del compagno di scena Joseph Gordon-Levitt, ha puntato sull'Europa.
Da Araki a Haneke, da von Trier arrivando fino a Hansen-Løve, Östlund e Assayas passando per film dai temi controversi come La fuga di Martha, la carriera da attore di Corbet sembra essere stata più una formazione sul campo, una ricerca di maestri con cui assetare il suo amore per il cinema e allo stesso tempo prendere lezioni.
Lo aveva dimostrato fin dal suo esordio con quel The Childhood of a Leader che ricordo come un gran patimento in una notte veneziana di malessere fisico, a cui dovrei dare un'altra chance.
Lo aveva ambientato in un'Europa sull'orlo della guerra, divertendosi a giocare dietro la macchina da presa, alla ricerca del male e dei suoi semi, riprendendo temi cari all'Haneke con cui aveva collaborato in Funny Games.
Si era poi allontanato dall'Europa per la vita complicata di una popstar poco luminosa in Vox Lux, e ora l'Europa la racconta dagli Stati Uniti, quelli in cui trova rifugio e deve costruirsi una nuova vita l'architetto László Tóth.
In mezzo a tutto questo, il Simon Killer di Antonio Campos.


Altro regista particolare, che indaga il male e le sue molte variazioni, da quello adolescenziale e voyeuristico di Afterschool a quello spettacolare di Christine, passando per l'apologia religiosa de Le strade del male e il più patinato e classico The Staircase.
Insomma, due con un gusto simile per tematiche scomode dovevano incontrarsi, e lo fanno a Parigi.
Dove Corbet interpreta Simon, studente in viaggio che deve riprendersi da una rottura amorosa dolorosa ma anche inquietante dagli indizi che cogliamo, e Antonio Campos lo dirige, fra le strade di una capitale non certo da cartolina, seguendolo per lo più di spalle, in un personale girone infernale dove finisce il terzo nome di questo terzetto. Quello di Mati Diop, attrice che passerà pure lei dietro la macchina da presa, interessata a fare luce sulla  questione dei migranti in Francia (con Atlantiques  e il documentario Dahomey). La sua Noura è una sex worker, lavora al sicuro in un locale dove si accede dietro pagamento, dietro pagamento si possono avere i suoi servizi, ed essendo Simon più giovane e più carino dei soliti clienti, decide di poterlo vedere anche fuori dal lavoro.
Lui ne approfitterà, inventando di essere stato pestato e rapinato, cercando rifugio nel suo appartamento, facendosi mantenere per un po', mentre trama per lei o contro di lei, mentre l'ex continua a cercarla, mentendo ai genitori ed estendendo la sua vacanza parigina.


Chi è, allora, Simon?
È un killer, come anticipa il titolo? 
È un manipolatore, un bugiardo?
Come la tesi che ha pubblicato per l'università, si fatica a metterlo a fuoco, resta ai margini dello sguardo degli altri e di questo racconto a tinte fosche, e resta difficile da inquadrare. 
Lo seguiamo, continuamente, ma sempre di schiena, sempre nascosto, tagliato dal quadro della macchina da presa, come la natura che non mostra.
Piano piano, gli indizi emergono.
Sia per quel passato meno romantico di quel che sembra, sia per un presente in cui non sembra lo sprovveduto o il salvatore del caso.


In un lavoro volutamente ridotto e naturale, Campos, Corbet e Diop improvvisano e si lasciano andare, mostrano i corpi e le pulsioni, rivelando poco a poco la natura di un protagonista capace di farla franca e di ingannare gli altri.
Uno studio su un personaggio complesso e brutale, all'apparenza banale per come si costruisce sui nudi e sugli sguardi, ma a ben guardare, uno studio psicologico profondo che sembra essere servito a tutti i coinvolti per avanzare nelle loro carriere.

Voto: ☕☕/5

Nessun commento:

Posta un commento