30 agosto 2024

Venezia 81 - El Jockey | Pooja, sir | Sanatorium

El Jockey

Eccolo qui, il film strano della mostra, quello che ammicca in ogni modo possibile al pubblico fin dai primi minuti, che ci mette dentro balletti per Tik Tok, scene a camera fissa che funzionano da condividere, mettici poi le tematiche LGBTQ+ e la presenza di Ursula Corbero meglio nota come Tokyo chiamata a ballare e mostrare la sua bellezza, e sono sicura che qualcuno ci cascherà.
Io no. 


Sarà che lo stile di fondo è quello sporco e misero (nel senso che mostra la miseria) dell'Argentina che fu, sarà per la storia, molto confusa, molto strana appunto: quella di un fantino dipendente da droghe e alcool che corre per degli strozzini che tengono la sua carriera in ostaggio che scappa, dopo un incidente che lo cambia e lo spinge a trovare un nuovo se stesso. In realtà, si tratta di un accumulo di scene una più folle dell'altra in cui camminare sulle pareti, partorire se stesso pur non pesando un grammo, sperando che la somma faccia un film valido.
Non per me, anche se le risate del pubblico e gli applausi finali mi fanno già temere il peggio.

Pooja, sir

In una nazione divisa fra piccole e grandi comunità, queste differenze e queste comunità vanno raccontate.
Il cinema nepalese ha capito come farlo puntando sui film di genere.
Così il rapimento di due bambini durante le proteste di una comunità emarginata durante la stesura di una nuova costituzione, sono il modo per raccontarle queste differenze e le contraddizioni in cui buoni e cattivi nemmeno la polizia riesce a identificarli con chiarezza.
Ad indagare, una poliziotta che preferisce l'uso del genere maschile , che ha una relazione con l'infermiera che si occupa del padre che sempre piange il figlio maschio che non c'è più. 


Si allunga leggermente la trama tra inseguimenti, depistaggi e un'indagine non certo a prova di legalità occidentale.
La verità emerge in fretta, ma il regista Deepak Rauniyar tiene a sottolineare come la corruzione e una visione chiusa della società imperi ancora. Quando si può dichiarare giustizia fatta se sono i deboli, pur sbagliando, a finire dietro le sbarre?

Sanatorium

Osannati nel circuito dei cinefili, omaggiati e ispirazione per registi come Christopher Nolan, i fratelli Quay io non li conoscevo.
Mi sono fatta convincere dalla brevità di questo lungometraggio dopo anni di corti, dall'uso misto di animazione, stop-motion e riprese dal vero.
Il risultato?
Qualcosa di troppo distante da me e dalla mia idea di cinema.


Si parla di tempo, di esperienza del tempo e ci si perde in questo tempo fra frame che si ripetono uguali, ancora e ancora e ancora, e una linearità che non è prevista.
La storia tratta da un racconto di Bruno Schulz ruota attorno a un figlio in visita al padre morente in un sanatorio, ma c'è molto, molto altro che non so spiegare.
I colori cupi se non assenti e il restare chiuso dentro se stesso non mi ha aiutato a capirci di più del cinema dei Quay Brothers.
Partirò dal documentario omonimo realizzato proprio da Nolan in occasione della ristampa da lui curata dei loro corti, un buon modo per farci pace.

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