29 agosto 2024

Venezia 81 - Maria

Jackie, Diana e ora Maria.
Pablo Larraín esce di nuovo dal suo Cile e ci porta a conoscere un'altra delle donne simbolo dello scorso secolo.
Non una principessa, reale o del mondo di Camelot, ma una Primadonna, una diva e anche questa volta, ce la racconta non in un film biografico nel senso più classico ma in uno stralcio della sua vita, per racchiudere il tutto.


Non un'intervista, che ripercorre il momento più traumatico, non un Natale che sarà l'ultimo in famiglia, ma l'ultima settimana della diva a Parigi, senza voce e senza lucidità, sotto farmaci e sotto la protezione dei suoi fedeli domestici, che cercano come possono di proteggerla, curarla, farla ragionare.
Ma Maria vive nel passato, nei concerti gloriosi che ha dato, nelle lodi che cerca dagli altri, in quell'amore doloroso per Onassis che le ha preferito proprio Jackie.
La seguiamo, allora, chiedere di spostare da una finestra all'altra, da una stanza all'altra il suo pianoforte, la seguiamo provare a ritrovarla quella voce perduta, e la sentiamo raccontare la sua versione della storia a un intervistatore immaginario (che porta il nome pericoloso del farmaci di cui è dipendente), per un film immaginario e per un'autobiografia che vorrebbe scrivere. Ripercorre la carriera, fa luce sulla gioventù in una Grecia occupata, racconta la sua verità e le sue ferite. 


E se Larraín riesce a smussare quel lato artistoide che non mi aveva fatto apprezzare Spencer, scatenandolo solo in una premessa che si chiude con un ciak e dentro i teatri in cui ricostruisce scenografie e utilizza gli abiti originali di scena, la scena se la prende tutta Angelina Jolie. Ipnotica anche se alla Callas finisce per non somigliare, convincente nonostante ci si concentri su uno sguardo a tratti vacuo e su una voce che chiaramente non le appartiene in una sensazione di ventriloqua piuttosto scontato. Per fortuna, oltre la voce, ci sono movenze, ci sono gesti, c'è il parlato in cui la bravura emerge. Così, non sono le maestose riprese alla Scala o i bianchi e nero remoti a emozionare, non sono gli incontri con il Presidente o con in amore travagliato, sono gli scambi con quei domestici che sono famiglia, sono gli affetti rimasti devoti per scelta. Pierfrancesco Favino e Alba Rohrwacher prendono su una schiena malmessa e uno stile dimesso parte del peso del film, condividendolo con una diva che non fa la primadonna ma brilla come sa brillare un regista appassionato.


Finendo come si è iniziato con i paragoni, non ha la magia di Jackie, non ha la pretenziosità di Spencer, ma questa Maria ha il suo lato divino.

6 commenti:

  1. Considerando anche che avevo amato Spencer, hype a mille!

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    1. Spencer continuo a non riuscire a difenderlo, qui rischia di cadere negli stessi patinati errori, ma la lirica lo salva.

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  2. Ho sentito di interpretazioni orribili da parte di Favino e Rohrwacher..

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    1. Non per me. Ha fatto strano sentirli recitare in inglese quando i loro personaggi sono italiani, ma il loro sguardo era pieno di umanità che sono riusciti a regalare i momenti migliori a Maria.

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  3. Angelina Jolie di solito non la reggo, staremo a vedere se grazie a Pablo Larraín mi farà cambiare idea...

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    1. La sensazione è sempre quella di vedere Angelina Jolie che se la crede tantissimo e interpreta un personaggio, più che vedere Maria Callas. Però se la cava molto bene.
      Per certi personaggi, e Larraìn dovrebbe capirlo, sarebbe meglio affidarsi a sconosciuti, The Crown lo insegna.

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