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Alle origini del male, quello che tanto ossessiona Justin Kurzel.
Il regista che alla scorsa Mostra di Venezia ha cercato le origini dei movimenti neofascisti in America con The Order, film che poteva essere meglio, ma male non era.
Regista che dopo un esordio notevole era passato subito alle grandi produzioni e ai grandi nomi con il Macbeth del 2015 e un Assassin's Creed per pagare cassa, e infine tornare nella sua Australia, cercando altre storie cupe e nere nella cronaca locale con l'attentato a Port Arthur in Nitram e l'infame Ned Kelly e la sua gang.
Lo ritroveremo presto, di nuovo in Australia, di nuovo con un uomo ossessionato dal male, quello della guerra, con la miniserie The Narrow Road to the Deep North con Jacob Elordi e Odessa Young.
Tutto era partito da Snowtown.
Periferia australiana in cui lui stesso era cresciuto e salita agli orrori della cronaca per una serie di omicidi mirati che puntavano a far fuori sospetti pedofili, persone affette da dipendenze o disabilità, ma anche che era semplicemente obeso.
Gli ultimi degli ultimi, insomma, quelli facili da dimenticare e non cercare.
A torturarli, ucciderli e poi seppellirli e nasconderli, non una sola persona ma chi John Bunting riusciva a convincere e coinvolgere nel suo piano.
Si parte da qui, quindi, dallo sguardo fragile di Jamie Vlassakis, figlio di mezzo tra fratelli speciali, con una madre che si accompagna a uomini sbagliati, uno dei quali abusa di tutti loro.
Ed è qui che John entra nelle loro vite.
Assetato di vendetta, con un circolo di spie, adepti e semplici amici di bevute che spifferano nomi di probabili pedofili per poi cercare di scacciarli dal quartiere o vederli sparire senza farsi troppe domande.
Jamie, intimorito e affascinato, silenzioso e probabilmente bisognoso di una figura forte nella sua vita, lo segue. Lo osserva, e noi con lui, senza capire i limiti che si impone, l'impunibilità che sembra circondarlo, i pensieri di Jamie stesso, che al male non sembra voler cedere, che al male torna, incapace com'è di dire no e staccarsene.
Come molti esordi, Snowtown è un film crudo.
Che non cerca il consenso del pubblico e non risparmia scene di tortura, uccisioni e mutilazioni su persone ma anche su animali.
Ma non si cerca lo shock facile.
Il regista resta sullo sguardo di Jamie, e ci porta dentro un mondo in cui birra e fumo da quattro soldi, lavori precari e famiglie che si assuefanno davanti alla TV sembra quello della porta accanto o della periferia meno abbiente. Quello in cui il male può mettere radici e crescere.
Ed è qui che il film si fa differente, non raccontando la cronaca in sé, i delitti in sé -come direbbe Stefano Nazzi-, ma cercando di mostrare il fascino di un uomo che si crede Dio, che per un ragazzo sembra Dio, capace di elargire salvezza e morte.
Probabilmente a Snowtown non sono troppo entusiasti di questo film che ha riportato a una gloria infame la loro cittadina, tanto che un referendum per cambiarne il nome era stato pensato, lì dove i corpi erano stati nascosti, lì dove un processo aveva condannato John e tutti i suoi complici.
Resta la macchia, resta la sensazione di disagio di un film piccolo in cui il talento di esordienti (non solo Justin Kurzel, ma anche gli attori Lucas Pittaway, Daniel Henshall e Louise Harris) esplode in modo cruento e gelido.
Più difficile da consigliare che da vedere, nella nascita di un'ossessione che porterà il regista a solcare l'Oceano cercando di approfondire, capire e analizzare la brutalità a cui può arrivare l'uomo.
Voto: ☕☕½/5
I film di Justin Kurzel non mi hanno mai entusiasmato, compreso l'ultimo The Order che pure per me poteva essere (molto) meglio, perciò il suo esordio me lo posso anche risparmiare :)
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