19 gennaio 2012

Harper's Island

Quando i film si fanno ad episodi.

A sette anni dalla sua partenza frettolosa dall'isola natale, Abby si vede costretta a tornarci per assistere al matrimonio del suo migliore amico Henry. Se se ne è andata senza mai voltarsi indietro la colpa è di un misterioso serial killer che ha ucciso senza lasciare prove 6 persone, tra cui sua madre. Da allora il rapporto con il padre, sceriffo di Harper, si è interrotto e il ritorno a casa potrebbe essere l'espediente giusto per ritrovarsi finalmente.
Ma dalla goliardia e dalla gioiosa situazione della partenza per l'isola assistiamo attoniti all'uccisione, uno dopo l'altro, degli invitati alle nozze. Un mistero avvolge l'isola, il fantomatico John Wakefield è tornato? E' Abby la chiave di questa sequela di sangue?

Con invenzioni surreali e spesso splatter la serie tv della CBS ci incolla allo schermo, tutti sembrano sospettabili e tutti sembrano prossime vittime. Tredici episodi per scoprire un enigma (forse non troppo credibile né coerente rispetto alle aspettative), una trama che molto deve a Stephen King e un'atmosfera che passa dalla favola al gotico: questi gli assi nella manica di Harper's Island.



18 gennaio 2012

In un Mondo Migliore

Film da Oscar. -2011-


Premio Oscar 2011 per:

  • Miglior film straniero


Immergersi in un mondo in cui sembra che la violenza sia l’unica risposta. Questo fa In un mondo migliore, ultimo film della danese Susanne Bier vincitore a Roma del Gran premio della giuria e dell'Oscar come Miglior film straniero.
Il problema è che questo mondo in cui ci immergiamo è proprio il nostro. E sono dei ragazzi a portarci.
Bullismo, vendetta, supponenza e incapacità di capire e ascoltare sono infatti i segni di una società basata sul benessere e sul consumismo come la nostra. E questi stessi segni  provano la società africana.
L’anello di congiunzione tra questi due mondi è rappresentato da Anton, padre quasi modello di Elias -ragazzo non bello e per questo vittima di soprusi e violenze da parte dei compagni- marito in crisi, medico umanitario.
Se da una parte quindi il figlio vive nella costante paura degli altri fino all’arrivo di Christian, angelo nero della vendetta, in Africa il terrorista Big Man si arroga il diritto di vita e di morte di chi lo circonda con violenza e barbarie.
Due mondi apparentemente agli antipodi ma che rivelano atroci somiglianze.

La vicenda è sorretta dai due ragazzi e cerca di far luce sul loro rapporto con la famiglia e sulla loro visione del mondo.
Christian ha perso la madre ed incolpa il padre per questo, privandolo quindi di rispetto e di condivisione. Chi sbaglia deve pagare, chi perde deve capire di aver perso, occhio per occhio, dente per dente, così è per Christian. Infatti difende sì Elias, ma lo fa con la violenza. Una violenza debordante che sfocia in folli idee vandalistiche che internet amplifica. E non riuscirà il buonismo e la ragione di Anton a fargli cambiare idea, anzi, sarò lo stesso medico a lasciarsi infine sopraffare, lasciando sgorgare il sangue e la vendetta del popolo africano.
Vendetta quindi, e sempre col sangue.
Susanne Bier ha imparato bene la lezione del maestro Lars von Trier, con un realismo in cui l’inquietudine e il male si sentono ad ogni inquadratura ma ne prende anche le distanze, con movimenti di macchina e zoomate che poco hanno a che fare con il naturalismo del regista di Antichrist e con un finale decisamente buonista.
La violenza si può fermare.
Perché c’è tempo per pentirsi, per riflettere e comunicare, perché c’è ancora la speranza di un mondo migliore.

15 gennaio 2012

Espiazione

E' già ieri. -2007-

Chi ha visto questo film o si è innamorato del vestito verde portato da Keira Knightley o del protagonista maschile, James McAvoy.
Tratto dall'omonimo best seller di Ian McEwan, il film ne è una perfetta trasposizione che sa mettere in scena lo stesso romanticismo e la stessa aura di decadenza del romanzo.
Il centro della storia è l'amore tra la borghese Cecilia e il figlio della domestica di famiglia Bobby. I presupposti non sono dei migliori, la differenza di classe li spinge lontani ma in una fatidica giornata estiva la passione tra i due divampa fino a che la realtà e il suo poter essere travisata li allontanerà inesorabilmente.
Il loro amore cresce infatti sotto gli occhi di Bryoni, (la giovane Saoirse Ronan che ruba più di una scena agli altri attori per la sua bravura), sorella minore di Cecilia con una spiccata fantasia che sfoga nella scrittura feroce di storie e commedie. Ma il suo sguardo non capta la realtà nella sua interezza, i frammenti che vede e che legge (la comica lettera che Bobby invierà per errore a Cee) le faranno pensare a Bobby come ad un maniaco ossessionato dalla sorella, e quando la cugina verrà trovata vittima di uno stupro non avrà dubbi su chi accusare.
E così i due innamorati vengono allontanati implacabilmente, lui in carcere, lei dalla sua famiglia che non comprende l'amore che li unisce, e allo scoppiare della guerra cercheranno di riunirsi, di ritrovare il tempo per far crescere la loro storia, la loro passione, "Ti ritroverò, ti amerò, ti sposerò e vivrò senza soffrire!". Soldato in Francia lui, crocerossina a Londra lei, mentre Briony cerca di espiare la sua colpa, fino alla tragica scoperta di quanto il suo errore, la sua accusa infondata, abbia sconvolto la vita di tutti.

Se la trama mostra già così ridotta tutta la sua drammaticità a ravvivare i toni del film ci pensa una meravigliosa colonna sonora vincitrice anche di un meritato premio Oscar ma soprattutto una fotografia che rende magico ogni fotogramma grazie ad un utilizzo di luce e colore magistrali. La campagna inglese e il suo verde brillano e vengono risaltati come degli ulteriori protagonisti, la bellezza degli attori è ancora più sottolineata, anche nei toni cupi e ocra del tempo di guerra. D'altronde Joe Wrigth aveva già sperimentato le sue potenzialità in Orgoglio e pregiudizio sapendo far rinascere il classico della Austen sullo schermo. I movimenti di macchina fluidi e indagatori danno poi nuovo ritmo alla storia, sapendo ben calibrare le cose da mostrare e quelle da nascondere e portandoci ad un finale difficile da digerire che è però una lezione indimenticabile del rispetto per i lettori e gli spettatori, perché a volte la verità fa più male di una menzogna.



12 gennaio 2012

Il Cigno nero

Film da Oscar. -2011-


Premio Oscar 2011 per:
  • Miglior attrice (Natalie Portman)

Il fascinoso dietro le quinte del balletto è portato drammaticamente in luce in questo ultimo film di Darren Aronofsky. 
La competizione, le fatiche fisiche e mentali, le bramosie.

Attraverso Nina, ballerina tanto fragile quanto caparbia osserviamo una compagnia di New York alle prese con la realizzazione di una nuova versione de Il lago dei cigni in cui entrambe le sorelle del balletto di Cajkovskij devono essere interpretate dalla stessa persona. Nina sarebbe la ballerina perfetta per interpretare il cigno bianco, eterea, tecnicamente perfetta fragile. Ma come fare per riuscire ad affrontare anche la forza sensuale del cigno nero?
Sotto le pressioni del maestro Thomas Leroy (interpretato da un Vincent Cassel sempre perfetto nei panni del cattivo) Nina è spinta oltre ogni suo limite, non deve solo lasciarsi andare ma deve esplorare la sua parte oscura.

Il film avanza quindi immergendosi sempre più nella mente ormai malata e traviata di Nina, nelle sue visioni, nei suoi incubi. Introducendo elementi da thriller Il cigno nero si arricchisce rispetto ad altri film che nel mondo della danza (vedi The company, tra gli altri) hanno voluto parlare, della dedizione, del sacrificio, della passione e del malessere che la continua competizione con sé e con gli altri porta. Non a caso Aronofsky non si concentra solo sulla nuova promessa Nina ma osserva l’abbandono e la caduta della “vecchia” stella Beth (una irriconoscibile Winona Rider).
Sopra a tutti splende l’interpretazione di una bravissima Natalie Portman. La giovane attrice americana che non disdegna ruoli forti e scioccanti (V per Vendetta, Closer) dopo un meritato Golden Globe si porta a casa anche l’Oscar. La sua interpretazione di Nina è infatti perfetta, il suo calarsi in un ruolo tanto difficile e tanto chiacchierato (la scena hard con la collega Mila Kunis aveva fatto sobbalzare Venezia) è poi reso ancora più reale dalla sua passione per la danza.
L’ambiguità, lo sdoppiamento, gli sforzi per raggiungere la perfezione sono rese con estrema fisicità dall’attrice che raggiunge il suo apice nella rappresentazione conclusiva del balletto e dei suoi oscuri retroscena.
In un finale sospeso che molto ricorda il precedente film del regista (il The wrestler con Mickey Rourke), Il cigno nero si cristallizza come film dark e visionario che molto deve non solo alla sua protagonista ma anche alle scelte di fotografia e scenografia di un vero spettacolo nello spettacolo.

11 gennaio 2012

J. Edgar

Andiamo al Cinema.


Se Hereafter aveva deluso alcuni il motivo era da ritrovare nella travagliata storia che stava dietro la produzione del  film, passata di mano in mano fino ad approdare in quelle sicure di Eastwood. Il risultato era buono, certo, ma distante, sia in temi che in fattura, dalla filmografia del regista.

Ora con J. Edgar l’instancabile 80enne torna con un progetto diretto, prodotto e musicato da sé.
Il film ha per protagonista un sempre strepitoso di Caprio che interpreta il fondatore dell’FBI John Edgar Hoover, uomo caparbio e intelligente che in 48 anni di servizio ha saputo arginare pericolose crisi sociali ma anche approfittare del suo potere attraverso ricatti e metodi indelicati.

L’immagine che ne esce è dunque nuova rispetto a quanto di lui si sapeva, dal rapporto con una madre despota e autoritaria all’ambigua amicizia con il collaboratore Clyde Tolson.
Attraverso la figura di quest’uomo di potere vengono rivisitati eventi che hanno segnato nel profondo la coscienza e la politica americana: l’inizio sconvolgente con l’attacco simultaneo di 33 bombe ad opera di una fazione bolscevica del 1919 e il conseguente rastrellamento di immigrati sospetti, il rapimento del figlio di Charles Lindberg che sconvolse il mondo intero e la lotta contro i gangster fino al presente filmico che riguarda la posizione di Martin Luther King e della famiglia Kennedy e l’insediamento nella Casa Bianca di Nixon.

Se già tutte queste coordinate del passato rendono ostica la visione in quanto prevedono la conoscenza dei fatti, la narrazione non lineare del film poco aiuta. J. Edgar ormai stanco e invecchiato cerca infatti di mettere in ordine tutte queste vicende e di presentare una sua verità storica per mettere a tacere tutte le maldicenze che su di lui e sul suo Bureau girano, e così attraverso la scrittura di queste memorie veniamo noi stessi immersi in indagini ed epoche diverse per poi scoprire, amaramente, nel finale quanto questa verità sia malleabile, quanto Edgar stesso sia altero ed egocentrico per piegarla al suo volere.
L’interpretazione di di Caprio è da Oscar, così come quella degli altri protagonisti (da citare anche Naomi Watts nei panni della fedele segretaria personale e Judi Dench in quelli della madre) ma stride quando ci troviamo davanti attori invecchiati con trucchi che lasciano a desiderare. La fotografia è però, come sempre nei film di Eastwood, splendida e rende alla perfezione l’immaginario degli anni passati.
La visione non è quindi delle più semplici, perché ci troviamo indubbiamente di fronte ad un film storico che ha in Clint il suo maestro.

10 gennaio 2012

Mildred Pierce

Quando i film si fanno ad episodi.

HBO ci ha da sempre abituati a prodotti tv di successo e di qualità (si pensi a Six Feet Under o a Angels in America), e nemmeno quest'anno si smentisce. Producendo Mildred Pierce non solo si è aggiudicata  ben 5 Emmy, ma ha anche avuto apprezzamento unanime da critica e da pubblico, incantati dalla bravura di una protagonista d'eccezione: Kate Winslet.

Tratto dal romanzo omonimo di James M. Cain da cui era già stato sceneggiato il film Il romanzo di Mildred del 1945 che vedeva nei panni del personaggio Joan Crawford (e che gli valse l'Oscar), la serie in 5 puntate vede al centro le vicende personali della casalinga Mildred che, lasciata dal marito ad allevare le due figlie, si ritrova a dover entrare nel mondo del lavoro. Ambientata in California negli anni '30, e quindi seguenti la grande depressione americana, assistiamo alla scalata al successo di una donna semplice e dal carattere fragile, vessata dalla figlia maggiore, che saprà trovare la forza di reagire alla morte della piccola e all'inizio umiliante da cameriera fino al raggiungimento di un obiettivo impensabile come quello di aprire una catena di ristoranti. Il ritrovo poi di un nuovo amore e della passione verso l'aristocratico in decadenza Monty, darà una svolta alla vita di Mildred e al suo atteggiamento, anche se nulla può durare per sempre. Ma è soprattutto sul rapporto madre/figlia che la serie vuole soffermarsi. Con una sfumatura che rende indefiniti i limiti di questo rapporto assistiamo alla crescita di Veda, altera e dispotica, pronta a pagare qualunque costo per riuscire ad innalzarsi e a brillare, provando piacere e mai rimorsa dalla continua umiliazione della madre, che però nonostante shock e crolli finanziari, saprà sempre rialzarsi.
Ad interpretare Veda è una bravissima Evan Rachel Wood che assieme a Guy Pearce (Monty) impreziosisce il prodotto tv del soffio cinematografico.
D'altro canto lo stesso regista, Todd Haynes, viene da quel mondo, e confeziona così una serie che nell'interpretazione, nella fotografia, nei costumi e nella sceneggiatura non ha nulla da invidiare al grande schermo.



9 gennaio 2012

Big Fish

Once Upon a Time -2003-

Il film dove la fantasia colorata e incontenibile di Tim Burton incontra la grazia e la magia delle fiabe. Se già in Ewdard mani di forbice infatti, la narrazione si avvicinava a quella delle favole, rimaneva quella sua indistinguibile vena gotica a rendere il film più cupo. In Big fish invece colori brillanti, personaggi solari e sopra le righe brillano di luce propria.
Abbandonato l'attore feticcio Johnny Depp, per un sorprendente Ewan McGregor, il film racconta la fantastica vita piena di disavventure di Edward Bloom, dalla sua nascita particolare, alla crescita fino all'incontro con l'amore per la bella Sandra, storie narrate in continuazione, racconti senza fine che oscurano gli altri e che poco sanno di verità e tanto di fantasia ingegnosa. Tutto questo ha però reso conflittuale il rapporto con il figlio Will, stanco di bugie e non più bambino per credere ancora a tali favole, ma chiamato al suo capezzale, il rivivere di nuovo, per l'ennesima volta, la vita del padre sarà il modo migliore per riconciliarsi con lui e per capire che in fondo, dietro ad ogni storia c'è una grande verità.

Tim Burton si dimostra un vero maestro a rendere su schermo le fantastiche avventure di Edward (dal gigante buono all'acquazzone improvviso fino agli alberi animati che circondano il villaggio nel nulla) così come tutti gli attori sembrano illuminati da una luce di grazia che ce li rende ancora più belli (vedi Jessica Lange, perfetta nel ruolo della madre così come Helena Bonham Carte in quello della strega/amante non corrisposta). Una storia sognante, ricca di romanticismo e di magia e che nel finale, con il saluto doveroso ad Edward e la riunione di tutto il caleidoscopico cast di personaggi dal sapore circense, rende omaggio a Fellini e al suo cinema.



7 gennaio 2012

Il Discorso del Re

Film da Oscar. -2011-

In attesa di scoprire il 24 gennaio le nomination e in attesa di sapere chi vincerà il fatidico Oscar nella serata del 26 febbraio, perché non rivedere e rigustare i vincitori delle passate edizioni? Ecco quindi, i migliori, coloro che non hanno subito il logorio del tempo, rimanendo, sempre, tra i migliori.




Premio Oscar 2011 per:

  • - Miglior film
  • - Miglior attore (Colin Firth)
  • - Miglior regia (Tom Hooper)
  • - Miglior sceneggiatura originale (David Seidler)


Colin Firth con Il discorso del re sancisce una volta per tutte la sua bravura e la sua eleganza recitativa già ammirata in A single man (che gli era valsa la Coppa Volpi a Venezia) e La ragazza con l’orecchino di perla, arrivando a vincere non solo il Golden Globe come miglior attore ma anche l'Oscar per la sua interpretazione.
In questo film, che attraversa più generi –dalla commedia al drammatico su uno sfondo storico e biografico- non solo interpreta un balbuziente, ma un balbuziente costretto, suo malgrado a diventare re.
Il film entra infatti con eleganza nelle vicende private del principe Alberto, duca di York,  futuro re Giorgio VI, mostrandoci le sue paure e le sue ansie nel parlare in pubblico, e facendo luce sui traumi infantili e i rapporti famigliari che le hanno causate. Nel mezzo, la storia: la morte di Giorgio V, l’abdicazione per amore di Edoardo VIII, l’avvento di Hitler fino alla dichiarazione di guerra alla Germania nel 1939, discorso che dà il titolo al film.

Accanto a Firth, un sorprendente  Geoffry Rush, che interpreta il logopedista che, dopo innumerevoli tentativi a vuoto, lo aiuterà a sconfiggere la paura e l’ansia di parlare in pubblico.
L’incontro-scontro, la complicità e gli alterchi fra i due in cui si contrappongono la freddezza inglese del duca di York all’umanità e l’intelligenza australiana dello specialista danno spazio  e campo per mostrare la bravura dei due attori. A far loro da spalla, e da padrone, una Helena Bonham Carter ( Elizabeth Bowes-Lyon) che riesce a farsi notare anche senza lo zampino del marito Tim Burton.
Il tutto è incorniciato da una fotografia perfetta con inquadrature non convenzionali e sorprendenti,  scenografie eleganti e raffinate quanto i costumi e le musiche ed un finale patriottico che riesce a colpire e commuovere oltre i confini inglesi. Tutto è dunque perfettamente in armonia, Oscar compreso. 

3 gennaio 2012

The Artist

Andiamo al cinema.



Ma quale nuova tecnologia 3D, quale innovativo e iperbolico effetto speciale? Il ritorno al passato, ecco cosa sa fare breccia inaspettatamente nei cuori degli spettatori.
E così, Michel Hazanavicius, regista francese semisconosciuto, si è incamminato per una via che definire azzardata sarebbe un eufemismo, scrivendo e dirigendo The Artist.

Cos’ha di particolare questo film? Ad un primo sguardo si potrebbe dire niente, classico film degli anni ’20-’30 che narra le vicende di un famoso attore del cinema muto che entra in crisi personale ed economica con l’arrivo del sonoro. Tutto invece se, guardandolo bene e leggendo la sinossi, si scopre che questo film è stato girato nel 2011, l’anno del 3D, degli effetti speciali e in cui il sonoro è ormai inscindibile dalle immagini.
 Un’operazione nostalgia che colpisce non solo i critici (che apprezzano e acclamano l’omaggio al cinema che fu) ma anche, e questo è forse più inaspettato, gli spettatori. A Cannes il film era stato acclamato come capolavoro vincendo addirittura il premio per il miglior attore, ma ora anche ai botteghini The Artist non sfigura nella lotta natalizia senza esclusione di colpi, non numeri da record, certo, ma per un film in cui le uniche battute avvengono ormai nella conclusione è già un successo.

La storia come detto non è delle più originali, ma sono gli attori , la loro bravura e la loro mimica, a fare la differenza. L’eleganza d’altri tempi di Dujardin ricorda attori come Fred Astaire e Valentino (non a caso interpreta un certo George Valentin), e assieme alla grazia e alla bellezza di Bérénice Bejo (la spumeggiante Peppy Miller) compongono una perfetta coppia da vedere e da amare, che si lascia e si scontra tra gli anni del passaggio al sonoro, della nuova e fresca generazione di attori e della grande crisi economica del ’29. Oltre agli attori non si può non divertirsi a seguire le buffe gesta del cagnolino Jack Russel, inseparabile compagno di George che dà vita a gag semplici ma efficaci. La mancanza di dialoghi è poi ben sopperita da una musica d’altri tempi che sa essere non solo di accompagnamento ma anche esplicativa
E ci si abbandona quindi alla visione nostalgica e piena di magia come da tanto non si faceva, perché The Artist non è solo un omaggio alle origini, è un atto d’amore verso il cinema e verso chi lo ama.