1 settembre 2025

Venezia 82 - Film da Orizzonti

Rose of Nevada

Non siamo in Nevada, siamo in un piccolo paesino di pescatori della Cornovaglia che proprio dopo il naufragio della Rose of Nevada non è stato più lo stesso.
Una madre si è persa nell'attesa di un figlio che dal mare non è più tornato, una moglie si è dovuta arrangiare e crescere due figlie che il padre non lo conosceranno mai.
E poi c'è Nick che la sua famiglia è riuscito a costruirsela anche se il tetto cade letteralmente sotto i suoi piedi.
Tocca accettare il ritorno dell'imbarcazione come un segno del destino: imbarcarsi, diventare pescatore con un vagabondo sbucato dal nulla e un marinaio che sembra conoscerlo bene quel mare.


Il senso di tragedia, di orrore in agguato, si fa sentire presto, ma quello che non ci si aspetta è un colpo di scena che riporta negli anni d'oro di quel villaggio, della Rose of Nevada delle origini. Come in un incubo, come in un loop temporale, si torna negli anni '80 prima della tragedia, con al possibilità di evitarla. Ma che che prezzo? 
Non siamo dalle parti de Il giorno della marmotta o di altri film che giocano con il tempo, il ritmo come i toni sono drammatici e più pesanti, pregnanti, sottolineati dalla serietà di George MacKay e la spacconaggine di Callum Turner.
Strano, come sembrano strani gli altri film di Mark Jenkins, non posso dire di averlo amato pur restando affascinata dall'atmosfera creata. Cercherò gli altri titoli, diventati cult senza che lo sapessi fino ad ora.


Late Fame

La vita semplice di un semplice addetto alle poste viene sconvolta da un gruppo di giovani dandy.
Sembrano usciti dagli anni '70, gli anni della beat generation, delle letture pubbliche, dell'arte che pullula per le strade di SoHo.
Erano gli anni vissuti dallo stesso Ed Saxberger, in cui scriveva poesie, frequentava bar, feste, e amici artisti.
Proprio le sue poesie, le uniche pubblicate, sono quelle che lo mettono al centro di un gruppo di entusiasti aspiranti artisti, poeti e sceneggiatori, scrittori e ovviamente più attenti alle apparenze -essere contro- che all'arte in sé.
Ma la loro adorazione, il loro eleggerlo a idolo e mito, l'attenzione che finalmente riceve, tardi certo, cambia la vita a Ed. 


Almeno momentaneamente, con un misto di nostalgia e rimpianti, di orgoglio e di presa di coscienza di sé e dei propri limiti.
Il successo resta risicato, rischia anche di farlo cadere in ridicolo per quello che questi giovani arrivisti nascondono viene presto a galla, lasciando ferite e cicatrici. A Ed e a Gloria, l'attrice e mascotte del gruppo, che vive da grande artista pur non essendolo, ovviamente. E non si capisce se Greta Lee è brava a fare l'attrice svampita che ogni tanto illumina la scena, o se calca troppo la mano.
C'è New York, comunque, nel suo saper essere anche una piccola città, c'è il valore che esce dai sorrisi timidi di Willem Dafoe e c'è un romanticismo spezzato e struggente sui sogni passati.
Insomma, è un film piccolo ma pieno di vita. 

The Souffler

Ancora Willem, l'instancabile.
Qui nel ruolo del direttore di un storico hotel di Vienna che sta per essere venduto e quindi demolito.


Poteva essere un film tradizionale su un direttore che le prova tutte pur di evitare questa vendita e salvare quello che rappresenta la sua vita, tanto che lì ha cresciuto la figlia e cerca di farla lavorare, è invece nelle mani di Gaston Solnicki diventa uno spaccato delle tante vite e dei tanti momenti che gravitano attorno ad un hotel, con attori alle prime armi o non professionisti che giocano, che ballano, che sfidano Willem e gli spazio del Continental.
Willem che è ovviamente l'unico motivo per cui amare un film così, dove parla tedesco e italiano, dove si diverte, chiaramente, per una storia che non decolla, per un finale che resta sospeso, con una sua artisticità a renderlo inconcludente nella messa in scena della poesia della semplicità in decadenza.

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