5 settembre 2025

Venezia 82 - I Film Collaterali

How to Shoot a Ghost

Un po' a sorpresa, un po' in sordina, è stato presentato in questa Mostra anche il nuovo cortometraggio di Charlie Kaufman.
Mezz'ora appena che, spiace dirlo, delude.
Viene da chiedersi com'è che si sia imbarcato in questo strano progetto che parla di fantasmi che restano sulla Terra un altro po' per gestire questioni sospese. Lui, immigrato omosessuale incapace di accontentare i genitori e di trovare la felicità, lei (Jessie Buckley), che non sa cosa stava cercando nella droga e nell'alcool.


Quello che ne esce è un po' un filmino delle vacanze autoriale che si aggira per le strade di una citta greca decadente, un po' un esperimento di uno studente di cinema che si sente molto artista.
Tra fuori fuoco, una voce narrante continua, polaroid e dissolvenze sembra mancare un senso, un punto. E la sceneggiatura si cui solitamente Kaufman non sapeva sbavare mai, sembra assente.
Un giorno capirò.


Vanilla

Una famiglia allargata, di sole donne. Madri, nonne, zie e cugine, in una casa grande e disordinata che sta per essere portata via.
Mancano i soldi, manca la sicurezza di un lavoro, di una sobrietà, che tutte insieme non hanno saputo mantenere.
Le osserviamo queste donne complicate, con i loro caratteri forti e le loro crepe, attraverso gli occhi della più piccola di casa: Roberta, che sogna un padre, che sogna di vincere un concorso con cui poter andare tutte assieme al mare. Il costume già ce l'ha e lo indossa tutti i giorni.


È un racconto semplice ma non banale quello di Mayra Hermosillo, femminile e forte, di una sorellanza colorata che mette in scena anche le difficoltà di mantenerli questi rapporti. Lo fa con una leggerezza che rende gestibili anche le scene più crude, lo fa con un calore di cui si aveva bisogno e che ieri in sala ha scaldato la giornata.
Omaggiando vuoi Almodovar, vuoi Little Miss Sunshine, vuoi quell'infanzia  vissuta in prima persona che ha portato a essere la donna sicura di sé tanto da farci un film.


Komedie Elahi

Il cinema iraniano è sempre interessante perché nasce lottando.
E lottando deve continuare a vivere.
Ne sa qualcosa il regista Bahram Ark, che a differenza del fratello gemello Batman Ark fa film tutt'altro che leggeri, che fanno piangere, che girano i festival ma che lì, nel suo Paese, non hanno il permesso di essere proiettati.
Le prova tutte, affrontando di petto la burocrazia e cercando di raggirarla, mentre è perennemente spiato e sorvegliato nelle sue mosse.
Come Dante, passa di girone in girone, dall'inferno al limbo al Paradiso che corrisponde a una caduta di regime improvvisa e insperata al di là dei confini.


Ali Asgari parla di cinema facendo cinema, cita i film più pop da Matrix a Aronofosky ma omaggia soprattutto il cinema europeo, quello kafkiano, quello che con leggerezza mostra le contraddizioni di una società indolente. A bordo di una vespa rosa guidata dalla fidanzata/produttrice dai capelli blu, il pensiero corre a Nanni Moretti.
Mancherebbe giusto un piglio e un ritmo più sentito per farne un film capace di conquistare appieno.


Daroon-e Amir

Ancora Iran, ancora un film che s'interroga sul suo Paese.
Un Paese da cui Amir è pronto a partire, o forse no.
Mentre la fidanzata lo aspetta in Italia dove si sta costruendo un futuro, lui tentenna, girando la città con la sua bicicletta, lavorando a bordo della sua bicicletta, incontrandosi con gli amici di sempre per scampagnate in bicicletta.
E chiedendo anche a loro, esuli ritornati a Teheran, come si possa vivere lontano da casa, come spiegare quella nostalgia che già si sente ancora prima di partire e come convincerci.


Non è il più appassionante dei film, ma grazie a un protagonista che ha il suo fascino, comprimari ben caratterizzati che subito fanno simpatia e flashback che s'incastrano con il presente, scorre e corre sulle sue ruote che Amir non può vendere.
L'immigrazione prima di emigrare, con tutto quello che si lascia dietro. 
Gatti compresi.

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