Megadoc
Un film atteso, sognato, provato, fermato, ripreso e infine concluso.
Vendendo pezzi di vita, comprando un hotel, cambiando il cast.
Ma alla fine Francis Ford Coppola il Megalopolis che aveva sognato l'ha avuto.
Peccato che il film presentato a Cannes lo scorso anno non era all'altezza di buona parte della critica, e pure per me.
Troppo grande? Troppo strano? Troppo poco interessante nonostante i concetti che portava avanti confondendo futuro e passato?
Diciamo di sì.
Ma sapevo che dietro c'era una storia più interessante, e lo sapeva anche Coppola che ha chiamato l'amico regista Mike Figgis a seguirlo nelle riprese, per realizzare un making of di questo suo progetto.
Spiamo regista, attori, cast tecnico al lavoro, tra giochi e discussioni, tra tensioni e battute, con interviste a rivelare il lato umano di Coppola e le decisioni di chi (i protagonisti Adam Driver e Nathalie Emmanuel) di essere ripreso al lavoro non aveva così voglia. Giocano, ed è un piacere seguirli, Aubrey Plaza e Jon Voight mentre quella mina impazzita di Shia LaBeouf si conferma tale.
Può il racconto di un racconto esser migliore del racconto in sé? Sì, perché chiarisce e dà significato, perché appassiona e fa vivere la magia di un sogno che si realizza. Anche se quel sogno esce sbagliato.
Sangre del Toro
Non è un semplice e classico documentario che celebra una carriera.
Non è fatto di interviste a collaboratori e conoscenti per ripercorrere le tappe di formazione e i successi, è un documentario che assieme a Guillermo del Toro stesso, cerca di entrare nella sua testa, nella sua passione e ossessione per i mostri, per l'horror, per quella morte che i messicani vivono in modo tutto speciale. Morire è inevitabile, e quindi perché non godersi di più la vita, finché si è vivi?
Yves Montmayeur segue il regista all'interno della mostra sui suoi mostri allestita nella Guadalajara in cui è cresciuto, ricostruendo la sua infanzia e le sue collezioni, parlando di quel mondo oscuro ma pieno di fascino.
Dai primi cortometraggi in famiglia fino al Frankenstein che proprio in questa Mostra viene presentato, un viaggio divertente e curioso, di certo speciale non solo per un personaggio che con generosità si racconta, per un lavoro di archivio e di montaggio.
Broken English
Chi era Marianne Faithfull?
Se me lo si chiedeva prima di questo documentario potevo rispondere solo "l'ex di Mick Jagger". E probabilmente così risponde la maggior parte delle persone.
È per questo che i registi Iain Forsyth e Jane Pollard hanno deciso di scavare e di interrogare, Marianne e gli artisti con cui ha collaborato, non tanto per ricordare, ma per non dimenticare.
Non siamo quindi davanti al solito documentario fatto di interviste e materiale d'archivio, ci sono, certo, ma sono presentate come un lavoro di scavo da parte di un fittizio Ministero impegnato in indagini coordinate da Tilda Swinton e portate avanti da uno splendido George MacKay a contatto con una Faithfull provata dal COVID.
Un ministero che si interroga e interroga Marianne, scavando e trovando tracce su giornali scandalistici come sui palchi d'opera, in sala di registrazione come in studi televisivi.
È un ritratto che la vuole mettere al centro, lei, come donna e artista, e non si può che commuoversi.
Per il coraggio, per la lucidità, per l'intelligenza.
Venuta a mancare prima di poter concludere queste indagini, è riuscita a lasciarci un'ultima interpretazione sofferta, che fa di Nick Cave la persona che più mi ha fatto piangere alla Mostra.
Colpo di fulmine di questa edizione? Sembra proprio di sì.
Marc by Sofia
Di moda so poco, di Marc Jacobs ancora meno.
Ci pensa Sofia Coppola a istruirmi con un documentario fatto in amicizia, fatto con amore, dedicato a un amico da sempre, uno che la moda l'ha rivoluzionata e a cui piace giocare.
Lo seguiamo nel dietro le quinte della creazione di una nuova collezione, tra scelta di tessuti e ultimi dettagli, si ricostruisce la sua fulminante carriera con immagini d'archivio, commenti pungenti e una visione lucida su cosa produrre e come produrlo, puntando allo spettacolo, alla forma.
Ne esco istruita, arricchita e divertita, con il piglio pop che non abbandona Coppola nemmeno quando si tratta di documentari.
Kim Novak's Vertigo
Poche parole su un documentario che sembra più un lavoro su commissione per il Leone d'oro alla carriera, che non un ricerca vera e propria su una diva che ha saputo allontanarsi da Hollywood.
Si tratta principalmente di una lunga conversazione con una donna che a 90 anni inevitabilmente si ripete, si perde, si emoziona, lasciando poco spazio all'approfondimento. Funziona il montaggio dei film passati ma da una vita così intensa, da una decisione così forte come quella del ritiro, era facile immaginare un risultato migliore.
Manca il punto, non rende onore.
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