8 marzo 2015
Rumour Has It - Le News dal Mondo del Cinema
Questa rubrica potrebbe avere vita propria solo con la presenza di James Franco.
L'instancabile attore, regista, pittore e scrittore non si ferma un attimo, e aggiunge alla sua già folta agenda un ruolo non così originale al dispetto del solito. Si vocifera infatti che l'attore sarà il protagonista di Why Him? dove interpreterà un padre geloso che si metterà in competizione con il ricco fidanzato della figlia.
Tralasciando la questione dell'aspetto fisico, la speranza è che ne esca una di quelle commedie irriverenti a cui Franco c'ha abituato.
La grande assente di questa edizione degli Oscar è stata Jennifer Lawrence che con le sue cadute e le sue vittorie aveva arricchito gli ultimi anni delle premiazioni.
Ma l'attrice potrebbe tornarci presto visto che sarà protagonista del nuovo film di Steven Spielberg tratto da It’s What I Do: A Photographer’s Life of Love and War, scritto dalla fotografa di guerra Lynsey Addario premio Pulitzer che con i suoi scatti, ispirandosi al lavoro di Salgado, ha raccontato le atrocità di guerra in Afganistan, Haiti, Iraq, Darfur.
Un ruolo decisamente impegnato per cui l'aspettiamo al suo meglio.
Jamie Dornan non ci sta a rimanere legato a Mister Grey, e scende pure lui in guerra.
L'attore irlandese che già in The Fall ha dato prova di essere molto più che un gran bel ragazzo, ha ben due progetti avviati: il primo con Netflix in Jadotville dove sarà il comandante delle Nazioni Unite Patrick Quinlan, che nel 1961 rimase coinvolto nell'assedio di quella che è ora la Republica Democratica del Congo, il secondo -Anthropoid-, molto più sostanzioso, in coppia con il connazionale Cillian Murphy nel ruolo di due soldati cechi che diedero la caccia allo spietato "Boia di Praga", Reinhard Heydrich.
Chi sembra avercela fatta a far dimenticare la sua prova all'interno della saga di Twilight è Kristen Stewart.
Con il piccolo ruolo in Still Alice prima, e con la grande prova in Sils Maria che le è valsa un César in Francia, l'attrice mette a segno un nuovo colpo: un ruolo di primo piano nel nuovo film -ancora senza titolo- di Kelly Reichardt, che vede anche Michelle Williams tra i protagonisti.
La trama ruota attorno a vari personaggi di una cittadina del Montana, tra matrimoni in crisi (quello tra la Williams e il marito fedifrago Jared Harris, che la tradisce con Laura Dern), nuove esperienze di lavoro (la Stewart, avvocato che accetta di fare l'insegnante).
Restiamo in attesa di aggiornamenti.
Non contento di aver ereditato il pesante fardello di dirigere il sequel di Blade Runner, Denis Villeneuve approccia la fantascienza già con Story of Your Life, che vede protagonista la coppia Jeremy Renner-Amy Adams. Tratto da un racconto di Ted Chiang, il film è un thriller che vede una linguista impegnata a tradurre messaggi alieni, entrando in contatto con loro e con il suo passato.
Se il tutto sa di un po' già sentito, nelle mani del regista canadese si ha comunque fiducia.
Mel Gibson torna alla regia a 9 anni da Apocalycto.
Lo fa tornando in Australia, dove ambienterà Hacksaw Ridge, storia dell'obiettore di coscienza e avventista del settimo giorno Desmond T. Doss, medico che salvò decine di vite durante la battaglia di Okinawa. Ad interpretarlo, Andrew Garfield, anche in lui in fase di costruzione di una carriera solida dopo la saga di Spiderman.
La Disney si sbottona, finalmente.
Nella sua fase reboot in live action ha finalmente assegnato i ruoli di primo piano nel prossimo Bella e la Bestia che vedeva già Emma Watson nei panni di Belle.
Ora anche i nomi dei suoi contendenti sono stati annunciati, e si tratta rispettivamente di Luke Evans come Gaston e Dan Stevens (recentemente passato da queste parti in The Guest) come Bestia.
In attesa di vederli all'opera, salgono le attese anche per il nuovo -il quarto- capitolo di Toy Story. Da quanto spiegato in un'intervista, il presidente Pixar Jim Morris ha fatto sapere che non sarà strettamente legato a quanto precedentemente raccontato, né all'interazione tra i giocattoli e i bambini, questo nuovo racconto si incentrerà perlopiù su una love story.
Ora non resta che aspettare nuove notizie, o attendere pazientemente il 16 giugno 2017, data -per ora- di uscita.
7 marzo 2015
Foxcatcher
Andiamo al Cinema
Ci sono cose dello sport che non capirò mai.
La prima potrebbe essere semplicemente come farlo con costanza visto che sono anni, diciamo pure un decennio, che non mi avvicino a qualcosa che sia minimamente sportivo per più di un paio di mesi di seguito.
La seconda, tutta la foga che si crea attorno a questo mondo, vedi tifosi rabbiosi, ultras inferociti e con gli ormoni impazziti per cui il tifo conta più della loro stessa vita.
Ma se ad alcune cose posso passar sopra, c'è uno sport che mai, e dico mai, capirò: la lotta.
Che sia la boxe, che siano le tecniche orientali o il wrestling, io la bellezza nel vedere due che se le danno di santa ragione, di uno che sceglie per vocazione e per talento di dare pugni, morsi, calci e quant'altro ad un altro e di prenderli di rimando, non la capirò mai.
E potete venirmi a dire che è un'arte, che visti meglio i movimenti armoniosi ed equilibrati fanno la differenza, io vedrò sempre e solo colpi che mi faranno chiudere gli occhi, sangue che mi farà svenire.
Immaginate quindi con che umore mi sono avvicinata a Foxcatcher, film di Bennett Miller sul mondo della lotta libera, sul magnate John Du Pont che fondò una sua squadra di lottatori che portò anche alle Olimpiadi, quelle a Seul nel 1988.
Un film simile non mi avrebbe mai interessato, e mai sarebbe rientrato nei miei interessi anche per il cast che lo compone: un Steve Carell dal naso posticcio, un Channig Tatum a cui non perdonerò quella porcata di Magic Mike (in arrivo il sequel, XXL, tutti pronti, vero?) e il buon Mark Ruffalo capitato del mezzo.
Aggiungeteci l'ambientazione anni '80 con tutti i suoi eccessi con tutto il suo cattivo gusto e sì, Foxcatcher lo avrei lasciato senza troppi pensieri a qualcun altro.
Invece l'Academy ha deciso di metterci del suo, candidando per la prima volta Carell come attore protagonista, rubando il posto a un Jake Gyllenhaal (Nightcrawler) molto più degno o anche solo a un David Oyelowo (Selma) decisamente più carismatico.
Pure Mark Ruffalo si è beccato una nominations, e pure la regia, la sceneggiatura e il trucco.
E allora, anche solo per dovere di cronaca, Foxcatcher è passato per i miei schermi, e come se non fossero già bastati i 148 minuti di Vizio di Forma, in questi 134 la noia ha regnato nuovamente sovrana.
La noia unita al fastidio, per l'ottusità e la stupidità del ruolo di Tatum, nei panni del lottatore Mark Schultz che con la sua aria scimmiesca si cala perfettamente nella parte, un campione vissuto nell'ombra del fratello che trova un magnate pronto a dargli vitto, alloggio e comfort nella sua residenza da milionario, formandolo per le prossime gare e formando attorno a lui una squadra di campioni.
Fastidio poi per il viscidume che Du Pont trasuda, per il suo ego smisurato che si fa palpabile nel documentario che produce sulla sua persona e la sua squadra, per l'uso smodato di droghe, per il rapporto conflittuale con una madre che come me non vede nulla di nobile nella lotta, bollando quest'hobby del figlio come una perdita di denaro, prestigio e tempo.
Il rapporto tra allievo e maestro, anche se mai del tutto definito, avanza tra eccessi e scontri, dimostrando tutta la poca intelligenza di entrambi.
L'arrivo del fratello prodigo, richiamato sia dalle comodità che gli offrono che dai sentimenti, aggiusta solo un po' le cose, o perlomeno aggiusta un fratello preso dal giro di alcool, cibo e droghe, rimettendolo in riga, facendogli aprire gli occhi verso il suo mito.
La sensazione che non tutto stia andando per il verso giusto la si sente fin dall'inizio, in quell'angolo di paradiso sono molte le cose a non tornare, e mentre l'ego si fa paranoia, la tragedia è già alle porte.
Unico colpo di scena, unico vero tuffo al cuore, quegli spari non aiutano un film piuttosto monocorde, che nemmeno nei momenti di lotta ha saputo esaltare.
I toni della fotografia che virano spesso al grigio non aiutano a far entrare del ritmo o anche solo del brio in Foxcatcher, che vorrebbe reggersi tutto nella trasformazione fisica e della carriera dei due protagonisti, che ce li inquadra ravvicinati, come a mostrare che sì, Carrel è davvero lui e che sì, Tatum ha qualcos'altro oltre i muscoli.
Quando però nemmeno questo si vede, rimanendo appiattiti sotto la voce fastidiosamente piatta di Carell, ridendo delle espressioni neandertaliane di Tatum, allora Foxcatcher si fa dimenticare in fretta, mentre restano inspiegate quelle nominations regalate dall'Academy.
Ci sono cose dello sport che non capirò mai.
La prima potrebbe essere semplicemente come farlo con costanza visto che sono anni, diciamo pure un decennio, che non mi avvicino a qualcosa che sia minimamente sportivo per più di un paio di mesi di seguito.
La seconda, tutta la foga che si crea attorno a questo mondo, vedi tifosi rabbiosi, ultras inferociti e con gli ormoni impazziti per cui il tifo conta più della loro stessa vita.
Ma se ad alcune cose posso passar sopra, c'è uno sport che mai, e dico mai, capirò: la lotta.
Che sia la boxe, che siano le tecniche orientali o il wrestling, io la bellezza nel vedere due che se le danno di santa ragione, di uno che sceglie per vocazione e per talento di dare pugni, morsi, calci e quant'altro ad un altro e di prenderli di rimando, non la capirò mai.
E potete venirmi a dire che è un'arte, che visti meglio i movimenti armoniosi ed equilibrati fanno la differenza, io vedrò sempre e solo colpi che mi faranno chiudere gli occhi, sangue che mi farà svenire.
Immaginate quindi con che umore mi sono avvicinata a Foxcatcher, film di Bennett Miller sul mondo della lotta libera, sul magnate John Du Pont che fondò una sua squadra di lottatori che portò anche alle Olimpiadi, quelle a Seul nel 1988.
Un film simile non mi avrebbe mai interessato, e mai sarebbe rientrato nei miei interessi anche per il cast che lo compone: un Steve Carell dal naso posticcio, un Channig Tatum a cui non perdonerò quella porcata di Magic Mike (in arrivo il sequel, XXL, tutti pronti, vero?) e il buon Mark Ruffalo capitato del mezzo.
Aggiungeteci l'ambientazione anni '80 con tutti i suoi eccessi con tutto il suo cattivo gusto e sì, Foxcatcher lo avrei lasciato senza troppi pensieri a qualcun altro.
Invece l'Academy ha deciso di metterci del suo, candidando per la prima volta Carell come attore protagonista, rubando il posto a un Jake Gyllenhaal (Nightcrawler) molto più degno o anche solo a un David Oyelowo (Selma) decisamente più carismatico.
Pure Mark Ruffalo si è beccato una nominations, e pure la regia, la sceneggiatura e il trucco.
E allora, anche solo per dovere di cronaca, Foxcatcher è passato per i miei schermi, e come se non fossero già bastati i 148 minuti di Vizio di Forma, in questi 134 la noia ha regnato nuovamente sovrana.
La noia unita al fastidio, per l'ottusità e la stupidità del ruolo di Tatum, nei panni del lottatore Mark Schultz che con la sua aria scimmiesca si cala perfettamente nella parte, un campione vissuto nell'ombra del fratello che trova un magnate pronto a dargli vitto, alloggio e comfort nella sua residenza da milionario, formandolo per le prossime gare e formando attorno a lui una squadra di campioni.
Fastidio poi per il viscidume che Du Pont trasuda, per il suo ego smisurato che si fa palpabile nel documentario che produce sulla sua persona e la sua squadra, per l'uso smodato di droghe, per il rapporto conflittuale con una madre che come me non vede nulla di nobile nella lotta, bollando quest'hobby del figlio come una perdita di denaro, prestigio e tempo.
Il rapporto tra allievo e maestro, anche se mai del tutto definito, avanza tra eccessi e scontri, dimostrando tutta la poca intelligenza di entrambi.
L'arrivo del fratello prodigo, richiamato sia dalle comodità che gli offrono che dai sentimenti, aggiusta solo un po' le cose, o perlomeno aggiusta un fratello preso dal giro di alcool, cibo e droghe, rimettendolo in riga, facendogli aprire gli occhi verso il suo mito.
La sensazione che non tutto stia andando per il verso giusto la si sente fin dall'inizio, in quell'angolo di paradiso sono molte le cose a non tornare, e mentre l'ego si fa paranoia, la tragedia è già alle porte.
Unico colpo di scena, unico vero tuffo al cuore, quegli spari non aiutano un film piuttosto monocorde, che nemmeno nei momenti di lotta ha saputo esaltare.
I toni della fotografia che virano spesso al grigio non aiutano a far entrare del ritmo o anche solo del brio in Foxcatcher, che vorrebbe reggersi tutto nella trasformazione fisica e della carriera dei due protagonisti, che ce li inquadra ravvicinati, come a mostrare che sì, Carrel è davvero lui e che sì, Tatum ha qualcos'altro oltre i muscoli.
Quando però nemmeno questo si vede, rimanendo appiattiti sotto la voce fastidiosamente piatta di Carell, ridendo delle espressioni neandertaliane di Tatum, allora Foxcatcher si fa dimenticare in fretta, mentre restano inspiegate quelle nominations regalate dall'Academy.
6 marzo 2015
Last Night
E' già Ieri. -2010-
Che l'amore sia la forza che move il sole e le stelle è risaputo dai tempi di Dante, ma forse, molto spesso, l'amore viene confuso con la passione.
Perchè anche il rapporto più puro e sincero, quello abituato a superare piccoli e grandi screzi, può essere messo a dura prova dalla Passione con la P maiuscola, quella che si insinua piano piano tra le piccole crepe di questo rapporto, allargandole, condendole con sogni proibiti e romantici che finiscono inevitabilmente per allontanare i due della coppia.
La coppia in questione è quella formata da Joanna e Michael, giovani benestanti, scrittrice con all'attivo un solo romanzo, ben accolto dalle persone che se ne intendono, meno dal pubblico, che si diletta a scrivere freelance per riviste di moda lei, impegnato con il suo lavoro e con i suoi affari, invece lui
Joanna e Michael si sono sposati giovanissimi, quando ancora si è in quella fase non del tutto completa della propria crescita, e crescere diventa così un crescere insieme, che sia un bene o un male. Una pausa c'è stata, è rientrata, ma ogni tanto torna, complice la gelosia.
Joanna non è una stupida, e i segnali che tra suo marito e la sexy collega Laura ci sia una qualche alchimia li vede eccome. Scenata, notte sul divano, tranne poi fare la pace, perchè infondo Michael non è uno stupido.
O forse lo è.
Visto che Joanna gli ha tenuto da sempre nascosto che durante quella loro pausa lei un'altra storia l'ha avuta, e che ora, sul lui di quella storia (va da sé, un romantico e passionale scrittore francese) fantastica ancora, ritrovandolo ogni tanto, ritrovandolo anche ora, mentre il marito è in viaggio di lavoro proprio con la sua presunta amante.
Last Night si svolge in un'unica notte, una notte che vede un marito e una moglie distanti, letteralmente e figurativamente parlando.
Con lui che viene tentato, sedotto e abbindolato da una donna sensuale che non vuole sentirsi dire di no, giocando tutte le carte, anche quella della pietà, con lei che la passione la vive e ce la fa sentire, quella paura di abbandonarcisi, quei brividi da trattenere.
Non c'è una parte giusta o una sbagliata, lo sono entrambe, forse, così come sono una conseguenza delle scelte, dei modi di fare e delle azioni all'interno di un matrimonio solo all'apparenza idilliaco, cementato da sensi di colpa e sguardi che si soffermano altrove.
Nella notte che Massy Tadjedin ci racconta, si respira intimità e sentimento, come un piccolo dramma teatrale dai palchi di Londra, come un quartetto meno complicato e meno esplicito alla Closer.
Nelle ore che si fanno sempre più piccole, però, si capisce che ad attirare veramente l'attenzione, che a suscitare interesse e a far battere il cuore, è quasi solo ed esclusivamente il lato femminile, quello che vede Keira Knightley tentata da Guillaume Canet, capaci di essere complici, di avere un'alchimia perfetta e di farcela sentire.
Più fredda appare invece la seduzione che Eva Mendes mette in atto con Sam Worthington, troppo americani, troppo poco eleganti.
Il film che ne esce appare quindi squilibrato, capace di dare emozioni solo a metà, tra la disperazione e la tentazione, tra il tradimento fisico e quello solo mentale, confermando Keira icona di eleganza e il "tipo" francese, dal suo naso all'accento, irresistibile.
Il finale fermato al punto giusto, e la colonna sonora delicata, sono la ciliegina sulla torta di una pellicola che potrebbe essere qualcosa di più, ma che sa far palpitare il cuore, dei più romantici, come dei più categorici.
Anche se in modo diverso.
Che l'amore sia la forza che move il sole e le stelle è risaputo dai tempi di Dante, ma forse, molto spesso, l'amore viene confuso con la passione.
Perchè anche il rapporto più puro e sincero, quello abituato a superare piccoli e grandi screzi, può essere messo a dura prova dalla Passione con la P maiuscola, quella che si insinua piano piano tra le piccole crepe di questo rapporto, allargandole, condendole con sogni proibiti e romantici che finiscono inevitabilmente per allontanare i due della coppia.
La coppia in questione è quella formata da Joanna e Michael, giovani benestanti, scrittrice con all'attivo un solo romanzo, ben accolto dalle persone che se ne intendono, meno dal pubblico, che si diletta a scrivere freelance per riviste di moda lei, impegnato con il suo lavoro e con i suoi affari, invece lui
Joanna e Michael si sono sposati giovanissimi, quando ancora si è in quella fase non del tutto completa della propria crescita, e crescere diventa così un crescere insieme, che sia un bene o un male. Una pausa c'è stata, è rientrata, ma ogni tanto torna, complice la gelosia.
Joanna non è una stupida, e i segnali che tra suo marito e la sexy collega Laura ci sia una qualche alchimia li vede eccome. Scenata, notte sul divano, tranne poi fare la pace, perchè infondo Michael non è uno stupido.
O forse lo è.
Visto che Joanna gli ha tenuto da sempre nascosto che durante quella loro pausa lei un'altra storia l'ha avuta, e che ora, sul lui di quella storia (va da sé, un romantico e passionale scrittore francese) fantastica ancora, ritrovandolo ogni tanto, ritrovandolo anche ora, mentre il marito è in viaggio di lavoro proprio con la sua presunta amante.
Last Night si svolge in un'unica notte, una notte che vede un marito e una moglie distanti, letteralmente e figurativamente parlando.
Con lui che viene tentato, sedotto e abbindolato da una donna sensuale che non vuole sentirsi dire di no, giocando tutte le carte, anche quella della pietà, con lei che la passione la vive e ce la fa sentire, quella paura di abbandonarcisi, quei brividi da trattenere.
Non c'è una parte giusta o una sbagliata, lo sono entrambe, forse, così come sono una conseguenza delle scelte, dei modi di fare e delle azioni all'interno di un matrimonio solo all'apparenza idilliaco, cementato da sensi di colpa e sguardi che si soffermano altrove.
Nella notte che Massy Tadjedin ci racconta, si respira intimità e sentimento, come un piccolo dramma teatrale dai palchi di Londra, come un quartetto meno complicato e meno esplicito alla Closer.
Nelle ore che si fanno sempre più piccole, però, si capisce che ad attirare veramente l'attenzione, che a suscitare interesse e a far battere il cuore, è quasi solo ed esclusivamente il lato femminile, quello che vede Keira Knightley tentata da Guillaume Canet, capaci di essere complici, di avere un'alchimia perfetta e di farcela sentire.
Più fredda appare invece la seduzione che Eva Mendes mette in atto con Sam Worthington, troppo americani, troppo poco eleganti.
Il film che ne esce appare quindi squilibrato, capace di dare emozioni solo a metà, tra la disperazione e la tentazione, tra il tradimento fisico e quello solo mentale, confermando Keira icona di eleganza e il "tipo" francese, dal suo naso all'accento, irresistibile.
Il finale fermato al punto giusto, e la colonna sonora delicata, sono la ciliegina sulla torta di una pellicola che potrebbe essere qualcosa di più, ma che sa far palpitare il cuore, dei più romantici, come dei più categorici.
Anche se in modo diverso.
5 marzo 2015
Silenzio in Sala - Le Nuove Uscite al Cinema
Incredibile ma vero, questa è la settimana che potrebbe accontentare tutti al cinema, senza vere e proprie ciofeche, senza veri e propri capolavori, ma con pellicole che -ognuna a suo modo- hanno il loro fascino.
C'è il dramma, c'è la commedia intelligente, c'è il sentimento, c'è il buonismo e c'è pure l'umorismo grottesco tanto caro ai più giovani.
Cosa scegliere allora?
Questo post nasce proprio per rispondere a questa domanda:
Focus - Niente è come sembra
Il fatto che Will Smith sia venuto a Sanremo per promuovere il film poteva sembrare un tentativo disperato per evitare un flop. In realtà in America Focus sta riscuotendo un buon successo, merito di quel gran pezzo di donna di Margot Robbie, certo, ma anche di quel ritmo che le truffe e i truffatori sempre hanno e che la saga di Ocean c'ha insegnato.
Spettacolo godibile, quindi.
Trailer
Nessuno si Salva da Solo
L'accoppiata Mazzantini-Castellitto torna in veste di scrittrice e regista, portando su schermo il romanzo tanto amato di lei.
L'analisi della fine di un amore sarà aprezzata più dal pubblico femminile, lieto di vedere Riccardo Scamarcio protagonista, accompagnato da Jasmine Trinca.
Trailer
The Search
L'acclamato regista di The Artist, Michel Hazanavicius, è pronto alla seconda prova. E non ci va certo giù leggero visto che decide di raccontarci i drammi ceceni del 1999, con le famiglie divise e distrutte e i volontari che cercano di aiutarli, per quanto possibile.
Dal suo esordio, si porta dietro la bella e intensa Bérénice Bejo, promettendo serietà ma forse meno appeal.
Trailer
Black or White
Per scusarsi del tonno, Kevin Costner ha deciso di tornare al cinema seriamente, andando a scegliere una pellicola indipendente che sa di già visto e di altri tempi. Fioccano i drammi: vedovo e senza una figlia, Elliot si ritrova a battersi in tribunale per avere la custodia della nipote contro gli altri nonni (se non si era capito dal titolo) di colore.
Nel cast anche Octavia Spencer.
Trailer
Superfast, Superfurious
Quando finiranno di fare film parodistici che ironizzano su generi, saghe, campioni d'incassi?
Mai, immagino, fiché il target adolescenziali continuerà ad andarli a vedere.
E allora, che si becchino loro questa parodia di Fast & Furious.
Trailer
C'è il dramma, c'è la commedia intelligente, c'è il sentimento, c'è il buonismo e c'è pure l'umorismo grottesco tanto caro ai più giovani.
Cosa scegliere allora?
Questo post nasce proprio per rispondere a questa domanda:
Focus - Niente è come sembra
Il fatto che Will Smith sia venuto a Sanremo per promuovere il film poteva sembrare un tentativo disperato per evitare un flop. In realtà in America Focus sta riscuotendo un buon successo, merito di quel gran pezzo di donna di Margot Robbie, certo, ma anche di quel ritmo che le truffe e i truffatori sempre hanno e che la saga di Ocean c'ha insegnato.
Spettacolo godibile, quindi.
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Nessuno si Salva da Solo
L'accoppiata Mazzantini-Castellitto torna in veste di scrittrice e regista, portando su schermo il romanzo tanto amato di lei.
L'analisi della fine di un amore sarà aprezzata più dal pubblico femminile, lieto di vedere Riccardo Scamarcio protagonista, accompagnato da Jasmine Trinca.
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The Search
L'acclamato regista di The Artist, Michel Hazanavicius, è pronto alla seconda prova. E non ci va certo giù leggero visto che decide di raccontarci i drammi ceceni del 1999, con le famiglie divise e distrutte e i volontari che cercano di aiutarli, per quanto possibile.
Dal suo esordio, si porta dietro la bella e intensa Bérénice Bejo, promettendo serietà ma forse meno appeal.
Trailer
Black or White
Per scusarsi del tonno, Kevin Costner ha deciso di tornare al cinema seriamente, andando a scegliere una pellicola indipendente che sa di già visto e di altri tempi. Fioccano i drammi: vedovo e senza una figlia, Elliot si ritrova a battersi in tribunale per avere la custodia della nipote contro gli altri nonni (se non si era capito dal titolo) di colore.
Nel cast anche Octavia Spencer.
Trailer
Superfast, Superfurious
Quando finiranno di fare film parodistici che ironizzano su generi, saghe, campioni d'incassi?
Mai, immagino, fiché il target adolescenziali continuerà ad andarli a vedere.
E allora, che si becchino loro questa parodia di Fast & Furious.
Trailer
4 marzo 2015
The Guest
E' già Ieri -2014-
Ci sono film nati per diventare dei cult della rete.
E il tam tam seguito all'uscita dei sottotitoli di questo The Guest, presentato lo scorso anno al Sundance, ne è l'esempio.
Portatore sano di trash, ha tutte le carte in regola per prendere lo spettatore, e il blogger medio, scaraventarlo in un universo altro, molto cool, molto americano, infarcito di citazioni, di momenti che mescolano l'assurdo al magnifico in modo da rendere questo universo un universo, come dire, di culto.
Tutto merito di un protagonista con i controfiocchi, dallo sguardo magnetico, dal fascino indiscutibile, e dai modi misteriosi ma anche sapienti, che sanno trattare e attrarre sia il gentil sesso, che maschi alla deriva.
Almeno nella prima parte del film, poi, e evito troppi spoiler, quell'universo si ribalta con una sola telefonata allarmante, e quanto costruito viene letteralmente fatto esplodere portando la goduria ancora più in là.
Ma andiamo con ordine.
La famiglia Peterson fatica a superare il lutto di Caleb, soldato caduto in missione in Iraq. O meglio, la madre Laura fatica a superarlo visto che gli altri componenti della famiglia sono più presi dai problemi a lavoro (il padre), dai problemi con i bulli della scuola (il fratello Luke) o dai problemi con il proprio ragazzo (la sorella Anna).
La visita di David, compagno d'armi di Caleb, arriva al momento giusto, portando almeno alla suddetta madre un po' di respiro. Come tutti i film horror da trent'anni a questa parte c'hanno insegnato a fare, Laura invita l'ospite comparso dal nulla a fermarsi per la notte, anzi, anche per un paio di giorni, in modo da sistemarsi e capire cosa voler fare ora che è tornato in patria.
David non si farà certo pregare, e con l'alone di mistero che lo circonda finisce per affascinare la giovane Anna, per aiutare a difendersi e vendicarsi Luke fino a fare fin troppo, portando il suo aiuto nella sfera dell'illegale.
Da qui in poi, sarà una festa del trash, che non è certo mancato in momenti che superano questo limite diventando dei cult, tra una rissa e l'altra, tra un proiettile all'altro.
E qui sta tutto il merito di un film come The Guest, sconfinare tra i generi, partendo come un B-movie di altri tempi creandone uno proprio, creando un alone di fighezza unica attorno al suo protagonista oltre che al film stesso.
David è l'uomo che tutti vorremmo essere o anche solo farci, almeno inizialmente, proprio come il Dan Stevens che lo interpreta, capace di svestire i panni noiosi di inizio secolo portati in Downton Abbey, dimagrendo, mettendo su muscoli e una barba che non guasta mai per diventare un figo (sì, l'ho detto) irriconoscibile (per dire, ho dovuto controllare due volte Wikipedia, seguito da Google immagini, per accertarmene).
Ad aumentare ancor più l'allure di The Guest è una colonna sonora fatta di pezzi altrettanto cool che si sposano benissimo con le immagini, scelte appositamente dalla bella Anna (Maika Monroe è da tenere d'occhio) nella sua playlist per David uscita direttamente dagli anni '80 e dall'elettronica più raffinata.
Il finale, folle, allucinante, è l'asso nella manica che decreta senza ulteriori dubbi il film come caso culto dell'anno, e per questo, assolutamente da vedere.
Ci sono film nati per diventare dei cult della rete.
E il tam tam seguito all'uscita dei sottotitoli di questo The Guest, presentato lo scorso anno al Sundance, ne è l'esempio.
Portatore sano di trash, ha tutte le carte in regola per prendere lo spettatore, e il blogger medio, scaraventarlo in un universo altro, molto cool, molto americano, infarcito di citazioni, di momenti che mescolano l'assurdo al magnifico in modo da rendere questo universo un universo, come dire, di culto.
Tutto merito di un protagonista con i controfiocchi, dallo sguardo magnetico, dal fascino indiscutibile, e dai modi misteriosi ma anche sapienti, che sanno trattare e attrarre sia il gentil sesso, che maschi alla deriva.
Almeno nella prima parte del film, poi, e evito troppi spoiler, quell'universo si ribalta con una sola telefonata allarmante, e quanto costruito viene letteralmente fatto esplodere portando la goduria ancora più in là.
Ma andiamo con ordine.
La famiglia Peterson fatica a superare il lutto di Caleb, soldato caduto in missione in Iraq. O meglio, la madre Laura fatica a superarlo visto che gli altri componenti della famiglia sono più presi dai problemi a lavoro (il padre), dai problemi con i bulli della scuola (il fratello Luke) o dai problemi con il proprio ragazzo (la sorella Anna).
La visita di David, compagno d'armi di Caleb, arriva al momento giusto, portando almeno alla suddetta madre un po' di respiro. Come tutti i film horror da trent'anni a questa parte c'hanno insegnato a fare, Laura invita l'ospite comparso dal nulla a fermarsi per la notte, anzi, anche per un paio di giorni, in modo da sistemarsi e capire cosa voler fare ora che è tornato in patria.
David non si farà certo pregare, e con l'alone di mistero che lo circonda finisce per affascinare la giovane Anna, per aiutare a difendersi e vendicarsi Luke fino a fare fin troppo, portando il suo aiuto nella sfera dell'illegale.
Da qui in poi, sarà una festa del trash, che non è certo mancato in momenti che superano questo limite diventando dei cult, tra una rissa e l'altra, tra un proiettile all'altro.
E qui sta tutto il merito di un film come The Guest, sconfinare tra i generi, partendo come un B-movie di altri tempi creandone uno proprio, creando un alone di fighezza unica attorno al suo protagonista oltre che al film stesso.
David è l'uomo che tutti vorremmo essere o anche solo farci, almeno inizialmente, proprio come il Dan Stevens che lo interpreta, capace di svestire i panni noiosi di inizio secolo portati in Downton Abbey, dimagrendo, mettendo su muscoli e una barba che non guasta mai per diventare un figo (sì, l'ho detto) irriconoscibile (per dire, ho dovuto controllare due volte Wikipedia, seguito da Google immagini, per accertarmene).
Ad aumentare ancor più l'allure di The Guest è una colonna sonora fatta di pezzi altrettanto cool che si sposano benissimo con le immagini, scelte appositamente dalla bella Anna (Maika Monroe è da tenere d'occhio) nella sua playlist per David uscita direttamente dagli anni '80 e dall'elettronica più raffinata.
Il finale, folle, allucinante, è l'asso nella manica che decreta senza ulteriori dubbi il film come caso culto dell'anno, e per questo, assolutamente da vedere.
3 marzo 2015
Broadchurch - Stagione 2
Quando i film si fanno ad episodi.
[SE NON AVETE VISTO LA PRIMA STAGIONE, NON PROCEDETE CON LA LETTURA: ALTO RISCHIO SPOILER]
Con la prima stagione di Broadchurch era definitivamente scoccata la scintilla per le serie crime made in Uk.
E anche per David Tennant a dirla tutta.
Merito di un'atmosfera misteriosa, di una realizzazione solida, e di personaggi credibili e veri, a partire da quell'Alec Hardy protagonista, ispettore granitico ma fragile che tra un battibecco e l'altro con la nuova collega Miller era riuscito a risolvere e concludere l'omicidio del piccolo Danny.
Nel modo peggiore possibile, però, scoperchiando una verità amara, scoperchiandone tante altre lungo le indagini, facendo sì che la vita a Broadchurch, tranquillo Paese in riva al mare della provincia inglese, nulla fosse più lo stesso.
Risolto questo caso, era naturale pensare ad una sua archiviazione, con la confermata seconda stagione a fare luce invece su quel caso che ancora tormentava Hardy, quell'omicidio irrisolto che gli era costato la reputazione oltre che un matrimonio.
Ma gli inglesi, si sa, amano sorprendere, e così a quasi due anni di distanza dalla chiusura delle serie, ritroviamo tutti i personaggi conosciuti a 6 mesi dai fatti raccontati, pronti pure loro ad archiviare tutto vedendo l'assassino dichiararsi colpevole, subire una giusta condanna, andare in carcere dove lasciarlo dimenticato e distante in modo da andare avanti.
Così però non va, dichiarandosi non colpevole, Joe costringe il giudice a procedere con un vero e proprio processo, con testimoni a carico della difesa o dell'accusa, con avvocati spietati che vanno a sfidarsi davanti a una giuria chiamata a decidere sul destino non solo di Joe, ma di tutti.
Nel mentre, sì, c'è tutto il tempo per riaprire il caso delle cugine Gillespie, quel caso che ha mandato in frantumi il cuore di Hardy e che ora grazie a una Miller che ha bisogno di pensare ad altro ed è capace di dare uno sguardo nuovo alle indagini, potrebbe essere risolto.
Le due trame procedono a pari passo, assestando colpo su colpo, portando a ragionevoli dubbi e a sospettare chiunque, ma prima di tutto ad essere felici di ritrovare sul nostro cammino questo cast corale che segreto dopo segreto si era imparato a conoscere, a cui si unisce un duo di avvocati caparbi: l'umana Jocelyn Knight e l'odiosa (vi sfido a non volerla prendere a pugni) Sharon Bishop.
A far da banco, è ovviamente il rapporto di complicità e di schiettezza tra i due ispettori, che offre attimi di respiro e di sorrisi, oltre che occhi a cuoricino per il tenebroso Tennant.
Il finale, ovviamente, è fatto di un climax ben assestato, senza troppi clamori, che lascia aperte questioni che almeno siamo sicuri verranno risolte nella già confermata terza stagione.
Non resta che aspettarla.
[SE NON AVETE VISTO LA PRIMA STAGIONE, NON PROCEDETE CON LA LETTURA: ALTO RISCHIO SPOILER]
Con la prima stagione di Broadchurch era definitivamente scoccata la scintilla per le serie crime made in Uk.
E anche per David Tennant a dirla tutta.
Merito di un'atmosfera misteriosa, di una realizzazione solida, e di personaggi credibili e veri, a partire da quell'Alec Hardy protagonista, ispettore granitico ma fragile che tra un battibecco e l'altro con la nuova collega Miller era riuscito a risolvere e concludere l'omicidio del piccolo Danny.
Nel modo peggiore possibile, però, scoperchiando una verità amara, scoperchiandone tante altre lungo le indagini, facendo sì che la vita a Broadchurch, tranquillo Paese in riva al mare della provincia inglese, nulla fosse più lo stesso.
Risolto questo caso, era naturale pensare ad una sua archiviazione, con la confermata seconda stagione a fare luce invece su quel caso che ancora tormentava Hardy, quell'omicidio irrisolto che gli era costato la reputazione oltre che un matrimonio.
Ma gli inglesi, si sa, amano sorprendere, e così a quasi due anni di distanza dalla chiusura delle serie, ritroviamo tutti i personaggi conosciuti a 6 mesi dai fatti raccontati, pronti pure loro ad archiviare tutto vedendo l'assassino dichiararsi colpevole, subire una giusta condanna, andare in carcere dove lasciarlo dimenticato e distante in modo da andare avanti.
Così però non va, dichiarandosi non colpevole, Joe costringe il giudice a procedere con un vero e proprio processo, con testimoni a carico della difesa o dell'accusa, con avvocati spietati che vanno a sfidarsi davanti a una giuria chiamata a decidere sul destino non solo di Joe, ma di tutti.
Nel mentre, sì, c'è tutto il tempo per riaprire il caso delle cugine Gillespie, quel caso che ha mandato in frantumi il cuore di Hardy e che ora grazie a una Miller che ha bisogno di pensare ad altro ed è capace di dare uno sguardo nuovo alle indagini, potrebbe essere risolto.
Le due trame procedono a pari passo, assestando colpo su colpo, portando a ragionevoli dubbi e a sospettare chiunque, ma prima di tutto ad essere felici di ritrovare sul nostro cammino questo cast corale che segreto dopo segreto si era imparato a conoscere, a cui si unisce un duo di avvocati caparbi: l'umana Jocelyn Knight e l'odiosa (vi sfido a non volerla prendere a pugni) Sharon Bishop.
A far da banco, è ovviamente il rapporto di complicità e di schiettezza tra i due ispettori, che offre attimi di respiro e di sorrisi, oltre che occhi a cuoricino per il tenebroso Tennant.
Il finale, ovviamente, è fatto di un climax ben assestato, senza troppi clamori, che lascia aperte questioni che almeno siamo sicuri verranno risolte nella già confermata terza stagione.
Non resta che aspettarla.
2 marzo 2015
Go On
Quando i film si fanno ad episodi.
Alla fine ho ceduto.
Uscita nel 2012, questa comedy segnava il ritorno in TV di Chandler Bing, pardon, di Matthew Perry, che cercava di scrollarsi di dosso il pesante fardello di Friends, lui che inizialmente c'era riuscito anche al cinema, tranne poi incappare in una serie di flop uno dietro l'altro.
La fortuna non l'ha certa trovata con Go On, serie NBC partita bene, confermata per la prima stagione e allungata fino a raggiungere i 22 episodi totali, per poi essere cancellata causa ascolti in picchiata.
La colpa, molto probabilmente, sta tutta in quella decisione di allungare e snaturare la serie, facendole perdere il controllo.
Matthew continua a fare il verso al suo personaggio, rimanendo legato a una comicità fisica un po' sorpassata ma a cui si fa presto l'abitudine, interpretando Ryan King, speaker radiofonico in un'emittente sportiva la cui moglie è morta da poco scombussolando la sua vita di romantico egocentrico.
Il suo capo -nonché il suo migliore amico- lo costringe a frequentare un gruppo di sostegno se vuole tornare in onda, e va da sé che l'iniziale diffidenza verso questi casi umani, verso tecniche per affrontare il lutto o qualsiasi altra perdita per andare avanti, si trasformi in un aiuto sostanziale, facendo di quelle persone degli amici e delle spalle fidate.
Il pilot ce li fa conoscere in modo irriverente in una gara alla storia più triste e sfortunata: abbiamo così George, vecchio cieco e con mille altre magagne, Fausta, messicana vedova e senza i figli vicino, la perfettina Yolanda, la gattara Sonia, il tradito Danny, il misterioso Mr K, il taciturno Owen e la lesbica arrabbiata e acida Anne, tutti sotto la guida non così esperta di Lauren che in quanto a problemi personali non è da meno dei suoi pazienti.
La pecca di Go On sta tutta nell'essere a metà strada tra una comedy a sviluppo semplicemente verticale e una a più ampio respiro orizzontale, come il percorso di crescita e di accettazione richiederebbe.
Così facendo, se le battute, i tempi comici e i dialoghi sono esilaranti e strappano risate via via più sonore, man mano che si avanza con gli episodi si perdono pezzi per strada, alcuni personaggi saltano o vengono dimenticati, si corre troppo sull'evoluzione di Ryan, facendogli incontrare troppe donne, facendogli a volte dimenticare il suo dolore tranne poi ritrovarlo un po' più in là.
Per salvare la serie si è tentata anche la carta reunion (a cui si fa il verso in Episodes, che vede invece uscire vincente l'ex Joey Matt LeBlanc) introducendo come guest star Courteney Cox alias Monica, oltre a un numero spropositato di comparse provenienti dal mondo dello sport più una Lauren Graham (Gilmore Girls) omaggio, ex fidanzata proprio di Perry.
La cancellazione è comunque un peccato, perchè a questi folli personaggi basta davvero poco ad affezionarsi, ognuno con i suoi tic, con le sue peculiarità prese di mira dagli autori.
Ma come insegna la serie, andare avanti è necessario, e se lo si fa in buona compagnia, tutto diventa più facile.
Alla fine ho ceduto.
Uscita nel 2012, questa comedy segnava il ritorno in TV di Chandler Bing, pardon, di Matthew Perry, che cercava di scrollarsi di dosso il pesante fardello di Friends, lui che inizialmente c'era riuscito anche al cinema, tranne poi incappare in una serie di flop uno dietro l'altro.
La fortuna non l'ha certa trovata con Go On, serie NBC partita bene, confermata per la prima stagione e allungata fino a raggiungere i 22 episodi totali, per poi essere cancellata causa ascolti in picchiata.
La colpa, molto probabilmente, sta tutta in quella decisione di allungare e snaturare la serie, facendole perdere il controllo.
Matthew continua a fare il verso al suo personaggio, rimanendo legato a una comicità fisica un po' sorpassata ma a cui si fa presto l'abitudine, interpretando Ryan King, speaker radiofonico in un'emittente sportiva la cui moglie è morta da poco scombussolando la sua vita di romantico egocentrico.
Il suo capo -nonché il suo migliore amico- lo costringe a frequentare un gruppo di sostegno se vuole tornare in onda, e va da sé che l'iniziale diffidenza verso questi casi umani, verso tecniche per affrontare il lutto o qualsiasi altra perdita per andare avanti, si trasformi in un aiuto sostanziale, facendo di quelle persone degli amici e delle spalle fidate.
Il pilot ce li fa conoscere in modo irriverente in una gara alla storia più triste e sfortunata: abbiamo così George, vecchio cieco e con mille altre magagne, Fausta, messicana vedova e senza i figli vicino, la perfettina Yolanda, la gattara Sonia, il tradito Danny, il misterioso Mr K, il taciturno Owen e la lesbica arrabbiata e acida Anne, tutti sotto la guida non così esperta di Lauren che in quanto a problemi personali non è da meno dei suoi pazienti.
La pecca di Go On sta tutta nell'essere a metà strada tra una comedy a sviluppo semplicemente verticale e una a più ampio respiro orizzontale, come il percorso di crescita e di accettazione richiederebbe.
Così facendo, se le battute, i tempi comici e i dialoghi sono esilaranti e strappano risate via via più sonore, man mano che si avanza con gli episodi si perdono pezzi per strada, alcuni personaggi saltano o vengono dimenticati, si corre troppo sull'evoluzione di Ryan, facendogli incontrare troppe donne, facendogli a volte dimenticare il suo dolore tranne poi ritrovarlo un po' più in là.
Per salvare la serie si è tentata anche la carta reunion (a cui si fa il verso in Episodes, che vede invece uscire vincente l'ex Joey Matt LeBlanc) introducendo come guest star Courteney Cox alias Monica, oltre a un numero spropositato di comparse provenienti dal mondo dello sport più una Lauren Graham (Gilmore Girls) omaggio, ex fidanzata proprio di Perry.
La cancellazione è comunque un peccato, perchè a questi folli personaggi basta davvero poco ad affezionarsi, ognuno con i suoi tic, con le sue peculiarità prese di mira dagli autori.
Ma come insegna la serie, andare avanti è necessario, e se lo si fa in buona compagnia, tutto diventa più facile.
Biglietto, Prego! - Il Boxoffice del Weekend
Incredibile, ma vero.
Pure io, superfan della spugna più famosa del piccolo schermo, fatico a credere in un risultato così: Spongebob batte Mister Grey, e di parecchio.
Le sfumature, infatti, alla terza settimana in sala abbassano notevolmente la loro quota pur raggiungendo il ragguardevole incasso totale di 18 milioni, seguite al terzo posto dalla commedia intelligente di Edoardo Leo.
Qualcosa di più ce lo si aspettava invece da Kingsman (che in America va forte), prodotto ben fatto e accattivante capace di attirare i più giovani come i non, che si ferma in quinta posizione, subito dietro Birdman che forte dell'Oscar vinto staziona stabile a metà classifica.
Gran poco fa Muccino Jr, e per fortuna, mentre il documentario di Zanetti proiettato per un solo giorno, rimbalza al sesto posto.
Mancano all'appello il Vizio di Forma di Paul Thomas Anderson e il Boccaccio dei fratelli Taviani.
I dettagli:
1 Spongebob - Fuori dall'acqua
week-end € 2.304.339 (totale: 2.304.339)
2 Cinquanta sfumature di grigio
week-end € 1.348.251 (totale: 18.280.350)
3 Noi e la Giulia
week-end € 1.016.602 (totale: 2.563.777)
4 Kingsman - Secret Service
week-end € 928.522 (totale: 1.006.710)
5 Birdman
week-end € 790.627 (totale: 3.535.137)
6 Zanetti Story
week-end € 490.482 (totale: 490.482)
7 Le leggi del desiderio
week-end € 400.081 (totale: 400.081)
8 Mortdecai
week-end € 381.418 (totale: 1.327.983)
9 Il settimo figlio
week-end € 354.690 (totale: 1.358.167)
10 Automata
week-end € 326.183 (totale: 326.183)
Pure io, superfan della spugna più famosa del piccolo schermo, fatico a credere in un risultato così: Spongebob batte Mister Grey, e di parecchio.
Le sfumature, infatti, alla terza settimana in sala abbassano notevolmente la loro quota pur raggiungendo il ragguardevole incasso totale di 18 milioni, seguite al terzo posto dalla commedia intelligente di Edoardo Leo.
Qualcosa di più ce lo si aspettava invece da Kingsman (che in America va forte), prodotto ben fatto e accattivante capace di attirare i più giovani come i non, che si ferma in quinta posizione, subito dietro Birdman che forte dell'Oscar vinto staziona stabile a metà classifica.
Gran poco fa Muccino Jr, e per fortuna, mentre il documentario di Zanetti proiettato per un solo giorno, rimbalza al sesto posto.
Mancano all'appello il Vizio di Forma di Paul Thomas Anderson e il Boccaccio dei fratelli Taviani.
I dettagli:
1 Spongebob - Fuori dall'acqua
week-end € 2.304.339 (totale: 2.304.339)
2 Cinquanta sfumature di grigio
week-end € 1.348.251 (totale: 18.280.350)
3 Noi e la Giulia
week-end € 1.016.602 (totale: 2.563.777)
4 Kingsman - Secret Service
week-end € 928.522 (totale: 1.006.710)
5 Birdman
week-end € 790.627 (totale: 3.535.137)
6 Zanetti Story
week-end € 490.482 (totale: 490.482)
7 Le leggi del desiderio
week-end € 400.081 (totale: 400.081)
8 Mortdecai
week-end € 381.418 (totale: 1.327.983)
9 Il settimo figlio
week-end € 354.690 (totale: 1.358.167)
10 Automata
week-end € 326.183 (totale: 326.183)
1 marzo 2015
Rumour Has It - Le News dal Mondo del Cinema
Giusto ieri il buon Leonardo DiCaprio era stato insignito dalla sottoscritta di un Oscar (QUI il post), per rimediare alle continue snobbate da parte dell'Academy, ma pare che questa dovrà ricredersi ben presto perchè l'attore ha due assi nella manica da giocare nel prossimo futuro.
Il primo è il film che lo vede collaborare con il vincitore dell'edizione di quest'anno, Alejandro Gonzalez Inarritu che lo ha voluto come protagonista per The Revenant, il secondo riguarda il film che produrrà e con molta probabilità interpreterà su Billy Milligan, responsabile negli anni '70 di aver rapito, violentato e ucciso tre studentessa, assolto poi in tribunale perchè affetto da personalità multipla, per la precisione, di aver ben 24 personalità diverse.
Curato e rilasciato, visse da cittadino libero fondando anche una sua casa di produzione.
Da 20 anni DiCaprio rincorre il progetto dal titolo The Crowded Room, ora non se lo lascerà sfuggire dalle mani sperando di poter stringere finalmente l'ambita statuetta.
Altro grande deluso è senza dubbio Richard Linklater che partito da favorito, si è visto soffiare tutti gli Oscar più prestigiosi e non da Birdman.
Ma il regista si è già rimesso in moto, e oltre a non escludere un sequel per quanto riguarda Boyhood incentrato sui transitori 20 anni, ha due film in cantiere.
That's What I'm talking About sarà -a proposito- un altro sequel, quello de La vita è un sogno (Dazed and Confused) che uscirà a fine anno, mentre si è accaparrato i diritti del bestseller Where'd You Go, Bernadette di Maria Semple che porterà su schermo.
La storia è quella della misteriosa scomparsa di una donna brillante diventata agorafobica, e della figlia che con ogni mezzo a disposizione la cercherà.
Anche Rosamund Pike dopo la sconfitta della sua amazing Amy si rimbocca le maniche, e va ad affiancare Christian Bale in The Deep Blue Good- by, per la regia di James Mangold e tratto dal primo romanzo della saga su Travis McGee scritto da John D. McDonald.
La vicenda sembra un noir, con una donna perseguitata dal suo ex che chiede aiuto a McGee, che scoprirà una lunga scia di vittime alle spalle dell'uomo.
Alla sceneggiatura Dennis Lehane, suoi i romanzi Gone Baby Gone, Mystic River, Shutter Island.
Dopo un esordio di classe e venato di non poca malinconia -A Single Man- Tom Ford è pronto a tornare alla regia lasciando momentaneamente da parte sfilate e passerelle.
Non lascia però trapelare molti dettagli, se non che si tratterà di una vicenda thriller tratta da un libro di cui saranno fatte una versione più fedele, una meno.
Le riprese dovrebbero iniziare a settembre, attendiamo aggiornamenti.
Il progetto era spaventoso già in partenza: Pastorale Americana portata su grande schermo da Philip Noyce.
A salvare le cose era quell'Ewan McGregor protagonista che ora però, dopo l'uscita di scena di Noyce, si arrischia a fare il suo esordio dietro la macchina da presa.
Il suo passo sembra molto più lungo delle sue gambe.
Altra regia che non ti aspetti è quella di Denis Villeneuve a sostituire Ridley Scott nel sequel di Blade Runner. Scott rimane produttore e autore del soggetto, mentre il regista canadese spera di iniziare le riprese nel 2016 contando di avere con sé Harrison Ford, che non vuole mancare all'appuntamento.
Il film, sarà ambientato qualche decennio dopo rispetto al primo capitolo.
Orfani di Sons of Anarchy, non disperate.
L'accoppiata Katey Sagal e Kurt Sutter è pronta a tornare e con un progetto di quest'ultimo che ha dell'incredibile.
Abbandonate le ruspanti motociclette di Charming, Sutter ambienterà la sua nuova serie The Bastard Executioner nel XIV secolo. Il protagonista sarà un tormentato cavaliere al soldo di Edoardo I che abbandonerà la battaglia per un esaurimento nervoso.
Molti i ruoli da comprimari tra cui quelli che la Sagal e Sutter si sono ritagliati: la prima sarà una veggente, il secondo il suo compagno, muto e misterioso.
Del nutrito cast farà parte anche il Matthew Rhys di The Americans in qualità di guest star.
Senza ombra di dubbio, sarà uno dei pilot più attesi della stagione.
Concludiamo la carrellata di news con la notizia che mette definitivamente il marchio trash a American Horror Story.
Lady Gaga sarà infatti la protagonista della prossima stagione, che avrà come titolo Hotel e sarà la prima senza Jessica Lange.
Prepariamoci.
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