14 settembre 2020

Venezia 77 - Le Riflessioni Finali

Venezia è finita da un paio di giorni ma la mia mente è ancora lì.
Pure il mio corpo, che fatica ad abituarsi a nuovi ritmi, a non avere tabelle di marcia da seguire, pasti poco nutrienti da ingurgitare, ore di sonno che mancano.
Con il ritorno al lavoro, tornerà pure la normalità.
Ma qualche riflessione è d'obbligo soprattutto per quello che questa Mostra è stata.
La Mostra dell'Anno Zero, la prima post-Covid, l'unica che non ha voluto rinunciare, delegare la visione all'online.
Scommessa vinta?
Sì, perché anche se i detrattori la accusano di essere stata un'edizione senza star e senza major, senza "pubblico" che affolla i red carpet, di attori e registi capaci, di film davvero belli, ce n'erano.
E a giudicare dal resoconto di quello che ho visto, quasi più degli altri anni.



Paura?
Ovviamente ne avevo.
Prima, soprattutto.
Quando mi sono accreditata, mi sono pentita istantaneamente.
L'amarezza mi è salita alla presentazione di un programma che sembrava troppo sobrio e senza grossi nomi a fare da richiamo.
La tristezza è arrivata con la consapevolezza di non potere o volere disturbare amici e amici di amici per chiedere ospitalità, andando a parare in un ostello senza cucina che -in un anno senza punto ristoro che mi forniva del cibo più o meno salubre e optando così per quei panini, quelle pizzette, quelle insalate tristi- non è stato il massimo.
Infine la sensazione sinistra che la Mostra non si sarebbe fatta.
Che la fantomatica "seconda ondata" o qualche decreto la fermasse.
Mi sbagliavo.
E alla vigilia della partenza, con un bagaglio che prevedeva l'aggiunta di mascherine a profusione, gel igienizzanti e cibo di fortuna, paura non ne ho avuta più.
Mi sono immersa in quel ritmo fatto di sveglia-colazione-film-film-pranzo-film-film-cena-film-doccia-dormire per 10 giorni consecutivi subendo solo a metà strada -come sempre- il contraccolpo.
Continuo a sognare una Mostra lunga solo 7 giorni, più vivibile e meno faticosa, e questo poteva essere l'unico anno in cui farla.
Ma mi sa che continuerò a sognare.


L'organizzazione pur con qualche lacuna iniziale (il sito di prenotazione impallato per 20 ore nel suo primo giorno, e qualche problema di server c'è stato anche nel secondo), si è ripresa in fretta e anche se i controlli, le scadenze delle prenotazioni erano un pallino fisso e una certa fonte di ansia, poi sono diventati la norma.
Tra un film e l'altro si poteva concedersi una pausa, un panino, uno spritz (meglio la birra, per me) da consumare comodamente al bar o seduti nei giardini. Nessuna corsa per mettersi in fila, solo il cercare il proprio posto e sperare di azzeccarlo quando le numerazioni ingannavano.
Non a caso, non sono l'unica che ha gradito questo nuovo sistema e sperando in un potenziamento dei server e in una vendita consona degli accrediti, potrebbe rimanere anche per i prossimi anni.
Sarebbe un altro sogno, questa volta realizzabile!

Certo, questo nuovo sistema mi ha fatto decidere già da casa (spulciando tutti i film, tutte le loro sinossi) cosa vedere e cosa escludere, con qualche ritocco per i consigli di amici, per le voci che giravano, senza quella scoperta fatta giorno per giorno affidandosi al Ciak quotidiano.
Certo, la memoria che è quello che è, ha aiutato comunque a sorprendermi per quello che andavo a vedere, con i film in concorso che sono l'unica costante incancellabile in cui sono sempre entrata senza sapere trama o sviluppo.
Come mi piace fare solo qui.


La temperatura presa prima di accedere all'area?
Qualche dubbio lo faceva salire sulla propria condizione fisica.
Il distanziamento in sala?
Nessuna testa a coprire i sottotitoli, spazio per allargare le gambe in ogni posizione pensabile.
La mascherina da portare H24?
Sopportabile, anche perché non c'era nessun bisogno di truccarsi, di nascondere sbadigli ed è diventata il camuffamento perfetto per asciugare le lacrime che film come Quo Vadis, Aida?, Nomadland e Nowhere Special mi hanno fatto versare e che nel mio ultimo giorno mi ha costretto a cambiarla da quanto era zuppa.
Un plauso va quindi a maschere e addetti alla sicurezza, costretti a controlli continui, a sparaflashare chi la mascherina la toglieva o l'abbassava, ma sempre con il sorriso e con solerzia, tanto da ammirare pure per la vista da falco nel mezzo del buio di una sala.


Se le paure di una pandemia, se l'ansia per un nuovo sistema si sono messe a tacere, è stato per quel senso di casa che sa dare una sala gremita (a metà).
Per quel senso di condivisione che fa ridere, applaudire, singhiozzare tutti assieme.
Partecipi di un evento, ancora più condiviso con il distanziamento attuale e la quarantena passata.
Quel senso di appartenenza, nel buio di un cinema che per mesi non si è potuto o non si è riuscito a frequentare, e che mancava così tanto.
Si rischiava un'indigestione dopo tanto digiuno.
E invece, il banchetto offerto dalla Mostra è stato quello più conviviale, attento e responsabile possibile.
Con pure la giuria ad essere d'accordo in un finale che rende doppiamente felici.
Restano nel cuore avventure di amicizia, ribellioni necessarie, scelte difficili e strade da percorrere.
Restano nel cuore luci che si abbassano e schermi che si accendono.
Restano i film, che anche senza le star più altisonanti, senza le major, avevano gli attori e i registi giusti e difficilmente si dimenticheranno.
Appuntamento al prossimo anno?
Lo spero.
Toro emozione 🤘 e See you down the road!

4 commenti:

  1. Il cinema dovrebbe documentare la violenza del mondo
    e non rifugiarsi nelle storie d'amore.

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    1. Le storie d'amore sono però a volte un mezzo utilizzato per "prendere" e richiamare il pubblico così da parlare della violenza del mondo.

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  2. Ti ho seguita e fortunatamente è andato (nonostante le premesse) tutto bene, son contento per te, perché so quanto adori il cinema ;)

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    1. Grazie Pietro!
      Appena messo piede in sala tutte le paure e le ansie se ne sono andate: il potere del cinema è anche questo.

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