17 maggio 2019

My Friend Dahmer

È già Ieri -2017-

Il male, si sa, ha sempre il suo fascino.
Ma raccontarlo quel male, quello vero, della vita reale, è un'arma a doppio taglio.
Facile scadere nella morbosità, nell'andare a scavare nel sordido per accontentare quella parte di noi che all'impensabile, al macabro, non è abituata.
Ci casca la TV, ci cascano certi documentari e a volte pure Hollywood.
Ma stare in equilibrio si può, si può raccontare la storia di un Cannibale, di un Mostro, senza per questo mostrare o dire quello che quel Cannibale, quel Mostro, ha fatto.
Ci prova e ci riesce My Friend Dahmer, cambiando punto di vista, mostrando il prima: prima che uccidere diventasse la normalità per Jeffrey Dahmer, prima che tutto crollasse.


Non ci si concentra sui suoi 17 omicidi, sui suoi rituali post mortem o i suoi macabri cimeli. Qui si va indietro, a prima che la molla scattasse, cercando di capire cosa possa averla fatta scattare.
Raccontando di un giovane isolato e solo, che trova interesse in esperimenti chimici, tra acidi e solventi in cui sciogliere carcasse di animali raccolti per strada, evitando il più possibile una madre instabile e un padre già di per sé assente.
Non ha amici, è nel mirino dei bulli.
Ma tutto cambia quando capisce che per farsi accettare basta far ridere.
Urla, cade, trema, finge balbuzie. Così entra nel gruppo di Derf, promettente fumettista, che dà vita a un Dahmer Fan Club con cui lo incita a scherzi sempre più esagerati e folli.


Il seme di quella follia era già lì, visibile.
Ma che il futuro potesse portare a quello che ha portato, nessuno poteva pensarlo.
È anche per questo che My friend Dahmer si fa interessante, perché raccontato da chi Jeffrey l'ha conosciuto, c'è stato amico, andandoci in gita, al ballo di fine anno.
John "Derf" Backderf che poi fumettista di successo lo è diventato, c'ha realizzato una graphic novel in cui i presagi, le stranezze, ma anche le difficoltà di un adolescente lasciato solo a se stesso sono al centro della scena.
Umanizza un mostro, quindi.
Ma non per questo manca di rispetto alle vittime.
Cerca di capire, semmai, di ampliare un quadro e raccontare una storia di solitudine e isolamento.
Il taglio è quello dei film indie, con i tanti aneddoti riguardanti Dahmer (l'incontro con il vice presidente Mondale, il maggiolino rosso) ad incastrarsi in quella che è una storia dal respiro quasi universale. Quasi.
Ross Lynch ne fa un ritratto sofferto e -appunto- umano, mentre Alex Wolff senza troppi sforzi si cala nella parte dell'amico cialtrone.
Il male, si diceva, ha sempre il suo fascino.
La sofferenza dell'adolescenza, pure.

Voto: ☕☕/5




6 commenti:

  1. Non vorrei scomodare Gus Van Sant, ma un film così azzeccato su un adolescenza sofferta, con presagi di disastri futuri, un pochino me lo ha ricordato a tratti. Mi è piaciuto molto proprio perché costruisce un mondo - anzi il mondo - del suo famigerato protagonista, analisi impeccabile brava. Cheers!

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Ecco cosa mi ricordava! Sì, in maniera forse meno silenziosa, lo si può tranquillamente accostare a Elephant, grazie per la dritta ;)

      Elimina
  2. l'ho visto l'anno scorso, e mi colpì proprio per non parlare della morbosità del mostro, può anche essere una cosa giusta, ma ci ho visto una chiara analisi di una persona che dentro di se cova l'oscurità del male

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Pur lasciando fuori lo scomodo "dopo", il prima fa altrettanto orrore e ne esce un'analisi davvero ben fatta.

      Elimina
  3. Come ti dicevo, piaciuto un bel po' anche a me. Semplice, ma ribollente.

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Sicuramente il miglior racconto di un assassino della settimana, ma anche rispetto a tanti film più esagerati e neri.

      Elimina