La premessa è necessaria: io Tommaso Buscetta non sapevo chi fosse.
Un nome importante, legato a quel maxiprocesso contro la mafia di cui conoscevo gli imputati più importanti (uno, almeno: Riina) in quegli anni neri dell'Italia in cui scoppiavano bombe e volano proiettili.
Eviterò quindi analisi politiche e storiche che non è la sede e non ne sarei capace, partendo però dal fatto che non essendo chiamata a confronti, a ricerche, a esclusioni/concessioni ho goduto de Il Traditore per quello che è: un film che racconta fatti reali e soprattutto una vita reale. Quella di un uomo d'onore che vede la Cosa Nostra in cui ha sempre creduto perdere quell'onore, a favore di soldi e potere.
Quella Cosa Nostra che sembra vivere fuori dal tempo, in una villa tra il decadente e il teatrale che è la ciliegina sulla torta per far decidere a Buscetta di non starci più, di scappare.
Se ne vola in Brasile con l'ultima moglie e con qualche figlio, finché non è il sangue che si sparge via via sempre più copioso e violento fra le strade di Palermo e di Roma a richiamarlo. Sono i corleonesi che vogliono il potere, è quel Riina che non ci sta alla pace e vuole traghettare Cosa Nostra al centro della scena, eliminando nemici, contrari, zavorre.
E allora si vede costretto a tornare Buscetta, a parlare ma non a pentirsi, a dialogare con un giudice che paziente ascolta, appunta, dando il via ad un processo che coinvolge centinaia di nomi.
Quel processo sembra quasi una farsa, una baraonda, una confusione.
Ma ha il suo effetto.
Su chi resta dietro le sbarre, su chi come Buscetta acquista una libertà che tale non è. Non sarà più solo, ad accompagnarlo sempre la paura di essere trovato, giustiziato, punito.
Il film va avanti allora, parlando di un altro processo in cui la politica romana entra a far parte, e parla di Buscetta, soprattutto.
L'uomo.
Diviso e con una sua morale, integro nonostante le macchie di sangue.
Non è un personaggio facile da inquadrare e non è una pagina di storia facile da raccontare.
Si prende un bell'impegno Marco Bellocchio, rigoroso e sornione con la sua macchina da presa.
Quell'uomo Favino lo incarna alla perfezione, mostrandone luci e ombre, fragilità e forza senza bisogno di maschere o trucchi eccessivi (e così è anche per Luigi Lo Cascio/Totuccio Contorno), ma è nella gestione dei tempi che i difetti si fanno sentire.
Accelera e rallenta la sceneggiatura, approfitta di più climax in un minutaggio che affatica quando si crede di essere arrivati alla fine. E invece, dopo quel maxiprocesso c'è ancora parecchio da raccontare, e si procede più lentamente, più stancamente anche. Concedendo spazi alla vita intima di Buscetta che non aiutano e che meglio si sarebbero integrati nella miniserie a cui inizialmente Bellocchio pensava.
La verità è che sono le sue parole, le sue confessioni e i suoi confronti a tenere con il fiato sospeso.
Nelle libertà che il film si prende, nelle ricostruzioni che sanno da film d'azione -con secondi che scorrono e che restano senza una spiegazione- qualcosa di questa teatralità, di questo rigore purtroppo si perde.
Ma sono piccoli difetti nei confronti di un racconto che tocca la Storia e tocca soprattutto l'umanità che c'è in gioco. Quella di un uomo che non si pente e che non rinnega il suo onore.
Voto: ☕☕☕/5
Mi ispira moltissimo, ma, pesante com'è, non in questo periodo e non in sala.
RispondiEliminaAnche se sono curioso per la prova di Favino, attore che per altro mi sta molto simpatico. Seguendo La mafia uccide solo d'estate (quando la provi pure tu?), Pif qualcosa di Buscetta me l'aveva già raccontata... :)
La pesantezza non si fa sentire troppo, è il minutaggio che frega e quello che pensavo essere il centro del film (il maxiprocesso) non è, e andando avanti negli anni un po' di calo dell'attenzione è naturale. In ogni caso, merita di essere visto anche solo per Favino, per una bella lezione di storia che non conoscevo... Farò il ripasso con La mafia uccide solo d'estate, promesso :)
EliminaA me ha entusiasmato questo film. Quelli che tu chiami "piccoli difetti" per me sono l'essenza del cinema di Bellocchio, ciò che lo rende grande: autore visionario, sperimentatore, inclassificabile, anche a 80 anni dimostra di essere avanti a tutti gli altri registi italiani. E pensa che questo è il suo film più "facile" da seguire, forse volutamente, per far passare bene il messaggio. Che poi si rifà alle sue ossessioni di sempre: la famiglia, i legami di sangue...
RispondiEliminaDi Bellocchio mi manca tanto, ma di quello che ho visto effettivamente gli riscontro sempre questa gestione difettosa dei tempi e della narrazione. Sarà il suo stile, ma mi ci ritrovo poco e se passo il film a pensare a come sarebbe stato più efficace raccontato in modo diverso, capisco che non è un pieno centro ai miei occhi.
EliminaAnche io ammetto che di Buscetta non so un granché...
RispondiEliminaIl film comunque un po' mi incuriosisce, anche se il tuo giudizio, per quanto positivo, lo ridimensiona già abbastanza rispetto alle esaltazioni da 13 ore di appluasi al Festival di Cannes e alle 11 mila nomination dei Nastri d'argento. ;)
Da Cannes è comunque tornato a mani vuote, non che i premi valgano quanto gli applausi però ecco... un po' capisco. Di difetti, da non fan, ne ho trovati, ma la storia e l'uomo reggono e meritano attenzione. Vedrai.
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