Mondo Serial
Il Blue Monday non esiste.
Non a livello scientifico, ma in questo martedì sento comunque un umore grigio per un gennaio senza fine, per un tempo uggioso che promette pioggia.
Il rimedio più naturale lo trovo sul piccolo schermo, con una carrellata di comedy più o meno riuscite in cui cercare la leggerezza necessaria:
Doctor Odyssey
Un medical drama prodotto da Ryan Murphy ambientato su una crociera extra lusso che di settimana in settimana cambia tema e ospiti ovviamente patinatissimi come il wellness, la chirurgia e i matrimoni.
Com'è che sono finita a vederlo?
Un solo nome: Joshua Jackson, cotta adolescenziale mai passata, che qui si rafforza.
Il buon Pacey dopo ruoli più impegnati sul piccolo schermo (The Affair, Dr. Death) ha deciso di passare per la cassa e di diventare un daddy nelle mani del re Mida Murphy, e armato di pettorali sempre in bella vista e occhiali da sole in cui nascondere l'imbarazzo, diventa il protagonista di un triangolo d'amore telefonatissimo e di casi medici via via sempre più assurdi con cui riempire una trama che fa spesso acqua.
Ci si chiede di affezionarci in fretta al resto della ciurma, dall'infermiera moralista Phillipa Soo al piacione Sean Teale passando per il capitano vedovo Don Johnson, così come ai vari ospiti della Odyssey che passano da Shania Twain a Amy Sedaris, fino alla caratterista Margot Martindale.
Insomma, aiutami a dire guilty pleasure, da vedere consapevoli di quello a cui si va incontro: una leggerezza garantita anche nei momenti più seriosi.
D'altronde, dove altro si può passare nel giro di pochi minuti dal dramma di un suicidio a una threesome caliente?!
Come dice lo stesso Dottor Joshua, non tutto il trash vien per nuocere, nel trash si può trovare della profondità inaspettata.
No Good Deed
Sono salita a bordo di questa serie per la presenza di Ray Romano (ehi, cercate il suo Somewhere in Queens più piacevole di quel che ci si aspetti) e ovviamente Lisa Kudrow e per la loro bellissima casa in vendita che mi faceva sperare in ammodernamenti e lotte sui prezzi (il mio vero guilty pleasure è HGTV).
Mi sono ritrovata, invece, a chiedermi più volte com'è che tutto è così patinato? Com'è che tutti sono così fastidiosi? Com'è che si rincorre l'algoritmo ma anche l'assurdo fra vecchi e nuovi omicidi, amanti e segreti, matrimoni in crisi e coppie che non si parlano?
Lo zampino di Liz Feldman dovevo riconoscerlo, che il suo Dead to Me non mi aveva convinto fin dalla prima stagione e qui ritrovo una Linda Cardellini impegnata a mostrarsi più infida che mai, con il resto del cast ad essere più o meno insopportabile nel ricoprire le varie caselline etniche/sessuali richieste al momento.
Deludente come quella casa che dall'esterno credevo molto più invitante, la visione scorre annoiata tra colpi di scena prevedibili, segreti camuffati male e strane riprese che entrano in tubi e feritoie che disturbano episodio dopo episodio.
Pur donna, pur bianca, pur casalinga disperata part time, non sono il target di riferimento di certi prodotti Netflix.
Questa è l'unica vera sorpresa.
Cunk on Life
Dopo la storia del mondo e quella della Gran Bretagna, il senso della vita.
Philomena Cunk, l'Alberto Angela al contrario, tanto impreparata quanto divertente, riprende il suo giro per il mondo alla ricerca di risposte filosofiche e religiose sul perché siamo nati e dove andremo a finire.
Il format di Charlie Brooker è sempre quello: affidarsi allo sguardo impallato di Diane Morgan, metterla a intervistare grandi pensatori e grandi scienziati con domande ridicole e riscrivere la Storia a proprio piacimento in modo da rendere tutto molto imbarazzante e molto folle.
Al terzo giro di questa giostra, qualcosa con me si è inceppato.
Forse il tema, meno divertente di suo, forse il format così collaudato da poter essere prevedibile nelle situazioni e nelle battute, forse le battute stesse meno folli rispetto agli speciali passati.
Si ride comunque, ma speravo in suoni più sguaiati.
Voto: ☕☕½/5
Dream Productions
Sia mai lasciar andare una buona idea alla Disney!
Se la grande azienda dei sogni di Riley vista in Inside Out era uno degli ambienti della sua mente più interessante, perché non farne una mini serie di appena 4 episodi in esclusiva su Disney+ in cui vedere ancora una volta le emozioni e Riley stessa alle prese con quella brutta bestia che è l'adolescenza?
Per fortuna, un pizzico di inventiva c'è anche in questo non lasciar andare idee e mondi, facendo della Dream Productions uno studio degno di Hollywood in cui accontentare boss e numeri, in cui i registi cercano la fama e la notorietà che si basa sui sogni speciali, quelli che non sbiadiscono e vengono conservati.
Paula diventa così l'esasperante nuova Gioia, incapace di lasciar crescere Riley e troppo affezionato ai suoi sogni d'infanzia fatti di unicorni e arcobaleni. Fortuna che c'è la sua assistente, mai davvero apprezzata, che Riley e la regia la sa capire, realizzando effetti speciali davvero.
E Paula si ritroverà quasi letteralmente dalle stelle alle stalle (meglio, bagni pubblici), pronta a tutto pur di emergere, sacrificando colleghi e buon senso in continue ultime occasioni che azzoppano la storia.
Fin troppo insopportabile, una protagonista simile non aiuta ad apprezzare appieno un prodotto che strizza l'occhio agli adulti nel suo ironizzare sull'industria del cinema, usando toni urlati e colori sgargianti e balletti per avvincere invece i più piccoli.
Il finale buonista e riparatore non mi vede d'accordo, anche se breve e con i suoi momenti buoni, non so se ci tornerei in questo incubo.
Voto: ☕☕½/5
Shrinking - Stagione 2
Alla fine della prima stagione sapevo di potermi fidare di Bill Lawrence: c'erano degli aggiustamenti da fare per rendere la sua nuova creazione davvero accattivante, e sono stati fatti.
Più respiro agli amici dello psicologo vedovo Jimmy, in particolare all'esilarante Brian, un'aggiustata ai toni facendone un dramedy più equilibrato e profondità ai vari personaggi con le loro storie e le loro paturnie.
Meno pazienti, più protagonisti quindi.
La formula si rivela vincente anche se spesso Jason Segel e Christa Miller alzano i toni e stanno sopra le righe con la loro recitazione, ma in questa seconda stagione che prosegue l'elaborazione di un lutto comune passando anche per chi quel lutto lo ha provocato (Brett Goldstein, anche creatore della serie e poco a suo agio con le parole dopo i silenzi di Roy Kent) facendo centro.
Si piange, si ride, ci si imbarazza tra un padre un filo opprimente, un figlia arrabbiata e degli amici scatenati che allargano una famiglia ora a due.
Il mio cuore va al burbero Harrison Ford ma anche alla scintillante Jessica Williams, con la consapevolezza che anche i difetti di una stagione che ora vuole comprendere fin troppi traumi personali, saprà gestirli meglio alla prossima stagione.
What We do in the Shadows
Stagione 6 (e ultima)
Sì, un'ultima stagione assieme ai vampiri più folli di Staten Island.
Così folli da dimenticarsi del loro migliore amico (ma volendo anche di avere una finestra e degli altri vicini oltre Sean), chiuso nella sua bara per un riposino energizzante per il doppio del tempo richiesto che si sveglia e che, beh, non trova certo l'America conquistata come promesso.
Un'ultima stagione che gioca con quanto questi vampiri si divertono ad assomigliare agli umani regalandoci un remake di The Office inaspettato dove Nando il bidello continua a strapparmi risate al solo pensarci. E succede spesso.
È una stagione che gioca con il suo fandom, tra amori impossibili e un Guillermo che cerca la sua libertà ma che va in meta-paranoia nello scoprire che il documentario che da anni si sta girando, è arrivato alla fine.
Un finale quindi folle e geniale come ormai Taika Waititi ci ha abituato, in cui scegliere a quale ipnosi credere, a quale ennesimo omaggio cinematografico affidarsi.
I soliti sospetti?
Rosemary's Baby?
Tranquilli, nel corso degli 11 episodi c'è spazio pure per I guerrieri della notte e Apocalypse Now.
Se alcuni episodi giano a vuoto e non hanno l'aria di far parte di un ultimo glorioso giro, resta una serie TV capace di superare il suo film originale.
Non era facile, come non è scegliere il vampiro preferito (scherzo, Nandor ovviamente), ma mancheranno questi squinternati dall'appeal e dal vestiario e dal senso della pulizia molto, molto discutibili che salutano nel migliore dei modi: lasciandoci scegliere.
Voto: ☕☕☕½/5
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