Andiamo al Cinema
Non sai mai come prenderlo, Paul Schrader.
Uomo burbero, specializzato in critiche che affossano o esaltano i film degli altri, quando si tratta dei suoi, beh, non sai mai come scriverne.
Anche perché in questi suoi ultimi anni di carriera sembra essersi ossessionato con la stessa idea: quella dell'uomo dal passato doloroso, che ha cercato di dimenticare e con cui torna a fare i conti.
C'era il prete non proprio così credente e ossessionato dall'ambientalismo.
C'era il militare di Guantanamo diventato esperto giocatore di carte.
C'è il neonazista pentito ora diventato esperto giardiniere.
E ora c'è uno che il militare non l'ha voluto fare e che è diventato esperto documentarista, ora al centro di un documentario basato proprio su di lui.
Un'ultima intervista, per essere precisi, in cui rivelare tutta la sua verità non tanto a favore di camera e di ex studenti che sa giudicare per quello che sono, quanto a una moglie a cui quella verità l'ha tenuta nascosta.
È davvero il paladino dei disertori, Leonard Fife? Lui che si è rifugiato in Canada durante la Guerra in Vietnam, che in Canda ha iniziato una carriera rivelando i grandi mali di una società tutt'altro che perfetta?
Il racconto verità, la grande verità che Leonard inizia a raccontare confonde presto gli spettatori in sala e in quella casa mausoleo arredata per l'occasione.
È il racconto di una mente confusa, di un malato terminale, che sbaglia anni e persone, che mescola visi e scelte, non rendendosi troppo affidabile, giudicando gli altri internamente e a favore di camera.
Ne esce un'intervista non lineare e un film confuso proprio come il suo protagonista.
Una voice over che passa di padre in figlio, una distinzione di linee temporali con scelte di fotografie diverse (dal bianco e nero ai colori caldi passando per i i diversi formati dello schermo) cercando un filo logico che sfugge mentre Jacob Elordi diventa Richard Gere e una rediviva Uma Thurman interpreta due parti.
Non è la verità che conta, quanto la confessione di tradimenti e lo svelamento almeno a se stesso di quella verità.
Purtroppo, Schrader si perde pezzi dello spettatore e lo spettatore perde pezzi, in questo suo esperimento.
Aspira al classico un filo polveroso come sempre sono i suoi film, ammanta quest'ultima breve produzione girata in appena 17 giorni con un budget risicato e dedicata all'amico Russell Banks dal cui romanzo è tratta, di una luce crepuscolare.
Ritrovando il fido Richard Gere che qui non teme di perdere il suo fascino in un ruolo non certo positivo, lascia gigioneggiare Jacob Elordi che sembra scegliere sempre meglio i registi con cui collaborare cercando di scrollarsi di dosso l'aria di belloccio.
La musica dei Phosphorescent crea una strana atmosfera discordante negli anni '60 meno peace&flowers di quanto siamo abituati, facendone un altro racconto intimo ma troppo confuso per pungere come poteva.
Manca un approfondimento, manca la verifica dei fatti se dovessimo parlare in termine giornalistico, manca un atto di pentimento e di vero ascolto.
Ma se non lo fa la sceneggiatura per prima, perché dovrebbe farlo lo spettatore questo lavoro?
Intervista incompiuta, intelligente ma che non si applica.
Voto: ☕☕/5
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