Gli inglesi, si sa, le serie TV le sanno fare brevi e bene.
Qui tre esempi in cui i nomi di Stephen Graham e Jack Thorne si rincorrono:
A Thousand Blows
Come lo replichi il successo di Peaky Blinders?
Per Steven Knight, cercando un soggetto simile, ma diverso.
Al passo con i tempi di oggi pure, visto che al centro della sua nuova serie TV c'è un'altra gang criminale, sì, ma tutta al femminile.
Siamo a Londra, pardon, East London, il quartiere popolare, malfamato, sporco e puzzolente al solo sguardo.
Quartier generale delle Forty Elephants, che passano alla Londra signorile dell'800 per piccoli e grandi furti con un mirino che punta sempre più in alto. Molto in alto, a dir la verità: ai gioielli della corona futuro dono all'Imperatore cinese.
Tutto intrigante, no?
Mettici poi il sogno che si infrange di un immigrato dalla Giamaica convinto di poter domare leoni in Inghilterra e in realtà portato a tirar pugni a brutti ceffi o a damerini nei primi club di pugilato, dove però con la sua pelle scura viene visto come una Bestia da esibire, e il contorno è servito.
Ci sarebbe poi da parlare anche dell'immigrato cinese e della sua vendetta, di un pugile tormentato chissà perché che si sfoga con alcool e pugni e medita vendette a suon di grugniti, in quell'accento mal decifrabile e ti chiedi… il fascino, l'unità, dov'è?
Dove sta il Tommy Shelby della situazione, per chi devo tifare nonostante l'antipatia che provoca?
Non c'è, ed è quello che manca a una serie che non esplode mai, in un ritmo lento e pure un po' noioso e scontato, con il grande piano che non mette alcun pepe all'azione e che si rivela pure un buco nell'acqua che dà soddisfazione. E non andrebbe bene.
Il problema sono gli attori scelti, sono le facce da sberle che purtroppo naturalmente hanno Stephen Graham e Erin Doherty che qui in ruoli non certo simpatici con il loro ego ingombrante non riescono a conquistare o ad avere l'allure per sostenerlo, quell'ego.
Ci prova Malachi Kirby, riuscendoci in parte, anche se il vero problema di A Thousand Blows è una sceneggiatura che non osa, che ci immerge in questa Londra d'altri tempi senza metterci il cuore, l'impegno, lo stile visto a Birmingham.
Altri 6 episodi sono già stati prodotti, resta da capire se avrò vogli di farmi un altro giro visto come in fondo, la vicenda di questi criminali potrebbe concludersi anche qui.
Adolescence
Sono bastati pochi giorni ed è già la serie più chiacchierata della rete.
Solo quattro episodi, quattro piani sequenza e una storia dura come quella di un omicidio che vede coinvolti dei tredicenni.
È bastato poco anche per me per fare pace con Stephen Graham -che la serie l'ha creata e interpretata- e Erin Doherty, che interpreta una psicologa perfetta nell'affrontare un adolescente tanto spaesato quanto manipolatore. A rubargli la scena è proprio lui, il giovanissimo Owen Cooper che mette i brividi, e non è solo un modo di dire.
Ma andiamo con ordine, partiamo dall'inizio che sembra il solito inizio di una delle tante serie crime che affollano Netflix: due detective si preparano, irrompono in una tranquilla e anonima casa inglese, arrestano Jamie, tredicenne, con l'accusa di omicidio. Il primo episodio mostra le varie fasi di un arresto e di una convalida del fermo, con Jamie, i genitori, la sorella e pure un avvocato d'ufficio a cercare di capire cosa sta succedendo, quali sono le accuse e la loro fondatezza.
Fino a un finale, che fa malissimo.
L'indagine prosegue in una scuola che mette ansia anche a chi genitore non lo è, una seduta con una psicologa chiamata a capire chi è Jamie, e infine le ripercussioni di un'accusa simile su una famiglia, colpevole e innocente, tra rabbia, dolore e impossibilità ad andare avanti.
Quattro episodi e soprattutto quattro piani sequenza che non possono che inebriare gli appassionati di cinema, che trovano in questa serie TV pane per i loro denti, nel cercare di capire come è stata girata, quanto ci hanno lavorato dietro le quinte, quanta preparazione e intensità. Uno sfoggio di stile che non vuole però essere fine a se stesso, porta infatti dentro la vicenda, dentro le indagini, dentro le emozioni in gioco, che cambiano, che crescono e che esplodono nell'arco di un'ora appena, per ogni episodio. Il regista Philip Barantini non è nuovo all'esperimento e sempre con Graham aveva realizzato il film Boiling Point, un piano sequenza in una cucina caotica in un ristorante affollato in una sera complicata.
La criminalità adolescenziale in Inghilterra è un problema da tempo, e se il pensiero corre anche a Boy A che mostrava le conseguenze a distanza di anni di un omicidio simile, il pensiero qui va a una vittima che, come dice la detective, non sembra avere voce.
Dimenticata per cercare di capire moventi e colpe, resta un nome e poco più.
La speranza, visto anche il successo che Adolescence sta avendo, è che Graham e Jack Thorne pensino a una seconda stagione con un altro punto di vista, quello della vittima e della sua famiglia.
Con il cuore e gli occhi ancora gonfi, la sensazione che la storia sia solo a metà non se ne va.
Toxic Town
Un'altra sporca e criminale città inglese, quella di Corby.
Una città sporca, sì, di ruggine e di ferro proveniente dalle acciaierie ormai dismesse.
Criminale, per come quella terra contaminata sta per essere bonificata.
Senza seguire protocolli, senza nessuna accortezza.
Un inquinamento silenzioso, che colpisce donne gravide, che malforma i loro neonati o non li fa nascere, per quelle malformazioni.
Donne che si accusano e si disperano, che cadono in depressione, perdono lavoro o compagini e che quando dei giornalisti iniziano ad indagare su numeri che allarmano, si uniscono e intentano una causa.
Non facile da sostenere, difficile da vincere, ma dà loro un motivo per andare avanti e per sostenere quei figli che non hanno colpe.
Ad aiutarli un avvocato che non si fa pagare, che ha a cuore la questione.
Certo, il pensiero non può che correre a Erin Brokovich e alla sua lotta per l'inquinamento da cromo esavalente.
Rory Kinnear non ha certo la sfacciataggine di Julia Roberts e resta dimesso nei panni di un avvocato che non molla. A prendersi la scena sono allora Jodie Whittaker, che riesce a scrollarsi di dosso l'esuberanza del Dottore più odiato con una facilità disarmante, Aimee Lou Wood che è il controcampo di semplicità e dolcezza, ma anche un Robert Carlyle sempre dalla parte giusta.
A scriverla, ritroviamo Jack Thorne, che cambia registro ma non l'impegno in una miniserie di soli 6 episodi che percorrono binari noti, senza grandi scossoni o grandi tecnicismi, funzionando "solo" con la forza delle storie vere che meritavano di essere raccontate.
Voto: ☕☕½/5
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