Dopo aver tanto visto, per l'ultimo film di questa Mostra, si ascolta.
Si ascoltano le voci di solitari, disperati, insonni che chiamano un numero amico. Dall'altra parte, Beth, questo il nome che si è scelta per assecondarli, aiutarli, cercare di dar loro conforto
Un lavoro non facile, soprattutto dopo la pandemia che ha impennato le richieste.
Un lavoro che può sfiancare, e che Beth porta avanti tra antistress, caffè ghiacciati, yoga. E dal quale prenderà una pausa a breve. Come gestirli i maniaci, gli aspiranti suicidi, i mitomani?
Ma in mezzo a queste voci, ci sono quelle amiche, quelle da indirizzare e aiutare davvero, quelle che raccontano di sogni che vedono come incubi, quelle che senza saperlo hanno talento, quelle che ribaltano la situazione e iniziano a fare domande.
E permettono anche a noi di conoscere Beth e la sua storia. Quella di Maggie, quindi.
Lei che seguiamo per quella casa così confortevole, che si muove di stanza in stanza.
È un esercizio di stile notevole, The Listener, nato in piena pandemia, con la densa sceneggiatura di voci scritta via zoom. Una sola protagonista in camera, l'intensa Tessa Thompson, che regge il film tra silenzi e una voce soffice come una nuvola blu.
Alla regia, nientemeno che Steve Buscemi, che regala ritmo, eleganza, a un film fatto di parole.
Sono quei film che più ammiro e che sempre cerco, con cui mi sembrava giusto chiudere questa Mostra nonostante le corse che mi ha fatto fare.
Il film per dimenticare il didascalico documentario di parte Nuclear, di Oliver Stone, che anche se pone domande, non convince del tutto.
Perché il cinema, per me, è fatto di parole più che di immagini, di voci che come poesie, come testi di una canzone rap, possono sorprendere.
Non potevo chiedere finale migliore.
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