Quello che più temevo una volta finita l'ondata di paura e di morte della pandemia, erano i film che ne sarebbero nati, a rappresentarla direttamente o fra metafore, a giocare con paure e situazioni conosciute.
L'ondata non è ancora finita, e qualche titolo continua a sbucare.
Siccità di Paolo Virzì è tristemente fra questi, a mettere insieme non solo i fantasmi di una malattia che fa impennare i ricoveri, ma anche quelli, come da titolo, di un mondo senza acqua, con razionamenti e guerriglie fra differenze di classe.
Al momento, solo Roma sembra interessata, e gli scontri non mancano, così come le proteste e le denunce via social.
Un mondo tristemente noto e attuale, in cui si muove un ricco cast corale tra medici impegnati a salvare vite mentre la famiglia si disgrega, esperti scienziati tentati dal successo TV, ricchi imprenditori che la loro acqua e le loro bugie se le tengono strette. E poi autisti, infermiere, guardie del corpo, senzatetto e pure un carcerato che suo malgrado evade.
Come da copione, queste scheggie solitarie finiranno per scontrarsi e incontrarsi, e alla fine avere legami stretti fra loro in uno schema non così sorprendente.
Le critiche e l'ironia sui tempi appena vissuti e su quelli che ci aspettano sono banali e pure vecchie, in un film che nonostante i nomi in gioco (a questo giro, per quanto gli si vuole bene, il bollino Mastandrea non è una garanzia) non appassiona, non entusiasma.
Come fosse un gioco facile, di rappresentazione mista per cliché, che non richiede impegno.
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