The Eternal Daughter
Una madre e una figlia, in un albergo isolato, uniche ospiti.
Lì per il compleanno di quella madre.
Lì per dare alla figlia la possibilità di lavorare al suo nuovo film, che sulla madre vorrebbe basarsi.
Lì perché quell'albergo era una residenza di famiglia, dove la madre passava la sua gioventù, dove ha provato perdite e dolori di cui a fatica parla.
Una madre e una figlia, il loro cane che spezza la tensione, una receptionist tuttofare che non si fa ben volere, un cuoco che le accoglie.
E i fantasmi che sembrano aleggiare in quell'albergo, che tormentano e che non lasciano dormire.
Dopo il dittico di The Souvenir dedicato alla sua gioventù, Joanna Hogg si concentra sulla madre impassibile e ingombrante in un film autobiografico in cui è il percorso di costruzione del film diventare un film.
Lo fa con la solita classe, lo fa affidando a Tilda Swinton il doppio ruolo di madre e di figlia, in un confronto che anche per questo si fa impossibile.
Complicando si la vita da regista, ma dando una chiave di lettura più profonda al risultato.
La sceneggiatura è fatta di quegli scontri verbali, di quelle delicatezza non necessarie e di quei muri che tra figli e genitori si costruiscono.
Ma il film, gelido, dal ritmo soporifero, diventa claustrofobico e a tratti asfissiante come le sue protagoniste così... inglesi.
Non riuscendo a coinvolgere, a sorprendere in un finale già previsto, purtroppo.
The Son
Dopo il padre, il figlio.
Florian Zeller adatta la seconda opera al cinema e queste volta, il risultato è diverso.
Se con Anthony Hopkins ci immergeva nella sua malattia, ci faceva provare il disagio, gli orrori della demenza senile, questa volta lo sguardo è esterno. È lo sguardo di un padre, soprattutto, che cerca di capire, salvare, tenere a galla un figlio che di nuotare nella vita non ha più voglia. Non le forze né gli strumenti.
Si parla di depressione, di malattia mentale che genitori troppo presi dal lavoro, dalle apparenze, dal divorzio e dal nuovo figlio, non riescono a vedere. Lo vede la nuova compagna, ma come imporsi?
Come non diventare poi la copia di quel padre e che si detesta se quel figlio solitario, distante, non è come ce lo si aspetta?
Meno teatrale de previsto seppur sempre chiusi in appartamenti e uffici, The Son si fa classico nella resa come nelle interpretazioni, con Hugh Jackman in veste drammatica a colpire ma non ad affondare, comunque superiore a Vanessa Kirby e Laura Dern in un ruolo fisico ed emotivo.
Impostato e tristemente prevedibile, questa seconda parte di una trilogia da palcoscenico, non ha la forza che richiede il cinema, non fa provare tormenti e disagi e anzi, stanca in confronti e ripetizioni.
Un peccato, poi, per come si poteva gestire un finale migliore se aperto, per quanto poco in linea con le avvertenze di esperti.
Al figlio, si preferisce il padre.
Nessun commento:
Posta un commento