Andiamo al Cinema su PrimeVideo
Il titolo può fuorviare.
Anche se si tratta di un film di Guy Ritchie, non è il solito film di Guy Ritchie.
A pochi mesi da Operation Fortune qui non c'è la gang criminale, non ci sono abiti stilosi e location da capogiro, non c'è un'ironia smaccata né personaggi tagliati con l'accetta. Ci sono le scene d'azione, quelle sì, ma che hanno la polvere e la ruvidezza della guerra.
Quella vera.
Guy Ritchie c'ha voluto mettere il suo nome per non confondere il suo Covenant con il Covenant horror del 2006.
Poteva cambiare titolo, ma questa è un'altra storia.
A questo giro, è proprio la storia che interessa a Guy.
Una storia di rispetto e di patti da mantenere, di generosità soprattutto, che non sempre in tempi di guerra si incontra.
E allora mette da parte le sue inquadrature pirotecniche, lascia a casa i nomi fidati, tiene giusto le scritte in sovraimpressione, per indicare i nomi dei soldati coinvolti, per spiegare i gerghi militari.
Per il resto, si affida a un intenso e sofferente Jake Gyllenhaal, che in guerra era già stato per Jarhead, e a Dar Salim, chiamato a interpretare un interprete afghano al soldo dell'esercito americano di stanza in un Afghanistan che pullula di talebani.
Non è una storia di amicizia però, non è lo scontro fra due culture che si vengono incontro e smussano i loro angoli. John Kinley e Ahmed non sono così amici, si scrutano e si soppesano, non è facile fidarsi o lasciarsi andare e in fondo non ne hanno nemmeno il tempo o la possibilità.
È una storia di rispetto, però, quello che si ha per chi ci salva la vita, più volte, e il debito che questo comporta: salvargli la vita a sua volta.
È un'andata e un ritorno in una natura infida, in cui si nascondono produttori di armi che seminano morte.
Se l'andata prevede una lunga e difficoltosa sopravvivenza in quella natura per scappare dai talebani che hanno sterminato il distaccamento guidato da John, ferito e in fin di vita, trascinato, curato e difeso da Ahmed, il ritorno vede John incaponirsi per riuscire a salvarlo, fargli avere un visto per l'America mentre questo si nasconde con la sua famiglia con una taglia sua testa posta dai talebani offesi dal suo status di eroe traditore.
È tutta una questione di tempismo, di chi fidarsi, di quando muoversi e di quando agire, con una tensione palpabile, con morti ammazzati difficili da contare, con un certo pathos nel finale in cui ci si lascia andare. Nel mezzo, un atto centrale ambientato in America fatto di PTSD, alcolismo, solitudine e senso di colpa, che spinge a tornare, a mettere le cose al loro posto che appesantisce il film, ma che lo fa anche respirare.
Guy Ritchie riesce a mettere da parte la caciara che lo contraddistingue per realizzare un film serioso e solido. Lo aveva già fatto, sempre in America, per Wrath of Man, storia di vendetta ritenuto da molti troppo ruvido.
Sensazione simile qui.
Se non avessi trovato il titolo comodo comodo su PrimeVideo nemmeno un Jake Gyllenhaal dai begli occhi blu mi avrebbe convinto ad andare in sala, sembra un film arrivato fuori tempo massimo. Un genere, un'ambientazione, quasi passata di moda.
Pesante solo per chi ai film di guerra anche quando è guerriglia, fatica a mandarla giù.
Ammetto di fare parte di questo gruppo, di sbadigliare di fronte a tute mimetiche e gerghi militari, soprattutto se americani, soprattutto se in quelle guerre recenti con cui cercano di venire a patti almeno al cinema.
Passato il finale ad alto tasso emotivo, però, con le sue didascalie e le foto che si alternano sui titoli di coda, il film dimostra che Guy Ritchie la sua storia ha fatto bene a raccontarla, perché è una ferita ancora recente, attuale.
Voto: ☕☕½/5
Ciao, mi trovi d'accordo proprio su tutto! Guy Ritchie tecnicamente è competente, e questo lo sapevamo, ma qui dimostra anche di poter emozionare e raccontare qualcosa di importante. Grandissima prova (l'ennesima) di Gyllenhaal, un film che mi è piaciuto sotto tutti i punti di vista. Anche se ammetto che un nuovo Lock & Stock non mi troverebbe contraria. :)
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