Chi sono i Kneecap?
Un gruppo hip-hop irlandese, nordirlandese per la precisione, che canta in gaelico, che si esibisce in modo dirompente inneggiando l'indipendenza irlandese.
Certo, oggi sono sulle pagine dei giornali per altri motivi politici, per il loro inneggiare a una Palestina libera ma anche per le accuse di aver inneggiato ad Hamas e Hezbollah con tanto di processo in corso e divieto d'ingresso in Ungheria e in Canada.
I Kneecap sono Mo Chara (Liam Óg Ó hAnnaidh) e Móglaí Bap (Naoise Ó Caireallain), due giovanissimi rapper e un DJ, DJ Próvaí (J. J. Ó Dochartaigh), che ogni tanto rappa pure lui ma principalmente crea le basi, le mescola a discorsi politici, a film e altre canzoni dando vita a un mix esplosivo che è riuscito in poco tempo a uscire dai confini dei pub e dei locali di Belfast per conquistare il mondo.
Questione di identità, di appartenenza, di bravura, con testi impegnati e leggeri, ritmi trascinanti e uno stile di vita in cui droghe e alcool non mancano hanno fatto il resto.
La loro folle storia, partita dal basso per salire piano piano e farsi inno di una generazione cresciuta dopo le bombe e con accordi di pace flebili e non così accettati, viene raccontata da Rich Peppiatt, che ha seguito il trio in tournée e serate lisergiche, trovandoci la storia giusta per il suo film.
Che mescola realtà e finzione, ma che riprende lo stile di questo gruppo, la loro vita e le loro idee.
Non si tratta di una lezione di storia (per quella c'è la bellissima Say Nothing su Disney+), si tratta di una storia romanzata in cui però si assestano parecchi colpi, tra cui il cammeo stupefacente di Gerry Adams. E in cui Peppiatt ha dovuto conquistare la fiducia dei Kneecap che hanno richiesto di avere lo stesso tempo in scena e così eccoti tre storie personali che toccano i temi della famiglia, dell'amore e dell'appartenenza, intrecciarsi ai loro concerti, alle loro esibizioni e alle loro serate tutt'altro che tranquille, con la polizia a monitorarli da vicino e un gruppo locale contro le droghe a minacciarli.
Di mezzo, quindi, un amore complicato come può essere quello tra un'inglese e un nordirlandese, la professione di insegnante da proteggere con un balaclava anche se si fa più per la lingua gaelica su un palco che dietro una cattedra e infine il ritorno di un padre che si nasconde dalla polizia e che ha il fascino di un Michael Fassbender che sfrutta bene il suo ruolo di specchietto per le allodole come me.
Che cedono al suo richiamo per venire travolte da una storia divertente e importante, esaltante e folle, come quella di un gruppo rap che fa canzoni rap e che diventa protagonista di un film che deve molto agli anni '90 per la sua estetica e il suo sperimentare. Sopra e sotto il palco.
Peppiatt riesce a gestire le richieste dei Kneecap, riesce a gestire i Kneecap stessi che da non attori sono riusciti in poco tempo a imparare il mestiere, riesce a gestire l'equilibrio di un film musicale e politico, a incastrare storia e musica, lotta e droghe, a fare di un film apparentemente biografico in realtà così assurdo da faticare a credere nella realtà dei fatti.
Quando le storie e i gruppi e la musica sono speciali, non può che finire così: tutto troppo esaltante per sembrare vero. Ma che vero lo è, dalla parte giusta della Storia.
Voto: ☕☕☕½/5
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