Andiamo al Cinema
Mike Flanagan che adatta Stephen King non è una novità.
Lo è che scelga di adattare una di quelle stagioni diverse, uno di quei racconti brevi che si allontanano dai brividi che il Re ci regala.
La vita di Chuck è una vita normalissima.
Forse troppo.
La vita di un orfano cresciuto dai nonni, di un bambino appassionato di danza ma che sceglie la matematica per trovare il suo posto nel mondo, la vita di un uomo che ha forti mal di testa che portano a una diagnosi terminale a soli 39 anni.
Una vita semplice, una vita qualunque, ma che contiene moltitudini.
E come la racconti una vita così?
In modo speciale, partendo dalla fine, che è una fine vera e propria di tutte quelle moltitudini, di tutto quell'universo che ruota attorno a Chuck, e che come la sua mente, inizia a spegnersi e a perdere pezzi. Che sia la California o la coscienza, che sia internet o la capacità di alzarsi dal letto, il mondo sta per finire, e fa paura.
Ma chi è Chuck, in realtà?
Quel Chuck che un professore vede incensato con cartelloni ai bordi della strada e un'infermiera che durante la fine del mondo si occupa dei tentati suicidi sente elogiare alla radio, chi è? E come la si affronta la fine del mondo se non cercando qualcuno con cui passarla?
Flanagan fa Flanagan.
E decide di raccontare in modo diverso una vita, partendo dalla fine.
Dalla fine di una vita e di un universo per poi passare a ricostruirla, quella vita. È così che il secondo atto diventa un musical, un ballo sfrenato di un contabile grigio che finalmente si scatena regalando la giornata che una batterista busker e una bibliotecaria single si meritavano. Ed è così che entra in scena Tom Hiddleston, l'apparente protagonista del film, il Chuck del titolo, che però ha appena una ventina di minuti di recitazione nel film.
Dopo averci deliziato con i suoi passi di danza, con la libertà presa a morsi prima che la realtà presenti i suoi conti, ripercorriamo la sua vita, una vita di orfano e di ballerino, di nipote e matematico riluttante, in una casa con una porta chiusa a chiave che sembra nascondere un segreto fin troppo misterioso.
Questa l'unica concessione al fantasy e al mistero che King e Flanagan concedono, per il resto, si parla di vita e quindi di morte, di sogni e quindi di realtà, attraverso il ballo, attraverso quelle persone che la vita la cambiano, che sia una professoressa, una ballerina, o Walt Whitman.
Flanagan non perde il vizio di richiamare a sé i suoi attori feticci, e nonostante i ruoli di primo piano dati a Hiddleston, Mark Hamill, Chiwetel Ejiofor e Karen Gillan, trovano posto Kate Siegel, Samantha Sloyan, Carla Cugino e pure il figlio Cody Flanagan.
Il problema in un film così complesso eppure semplice, è una forma discontinua. A partire da una voce narrante ingombrante e non sempre puntuale affidata a Nick Offerman, passando per ripetizioni e misteri poco misteriosi e la sensazione che anche una vita semplice poteva essere racconta in modo migliore. Ci frega il terzo atto, che è anche il primo, intrigante e magico, trovando meno consistenza e passione negli altri due, con un finale volutamente anti-climatico che si fa pure ripetitivo… c'era da aspettarsi di più, da questo adattamento, dalla vita di Chuck, da Flanagan e da Hidddleston. Una vita ordinaria raccontata in modo diverso, in una stagione diversa, che però perde il punto.
Voto: ☕☕½/5
Il racconto originale non è proprio tra i più memorabili del Re, però è charo perché Flanagan lo abbia scelto, gli permette di portare avanti le sue tematiche, sempre quelle, visto che ne è ossessionato. Cheers
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