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Le aspettative sono delle brutte bestie.
Vedi Gael García Bernal in drag, ballare, lasciarsi andare a movenze ammiccanti su un ring e ti aspetti una commedia, un film divertente che mostri come un wrestler sia riuscito ad andare contro pregiudizi e contro regole non scritte, cambiandole.
Ti ritrovi invece una storia drammatica, vera, ma drammatica.
Perché in fondo che c'è di divertente nell'essere un figlio non riconosciuto da un padre imbarazzato dalla tua omosessualità? Come ci si sente a essere un wrestler mingherlino e relegato nella parte del perdente? Come si alza la testa, se non soffrendo un po', abbracciando la propria sessualità, non volendo più nascondersi, diventando un exotico, sì, ma di quelli vincenti?
Ingenua io, che una storia così non poteva che essere raccontata in un registro più intimo, più introspettivo, lasciando le luci, le paillettes, il trucco in un angolo del ring in cui c'è altro oltre l'avversario da battere.
Non è questione della noia che il wrestler mi scatena.
Quella l'avevo già combattuta grazie a GLOW, serie rimasta ingiustamente senza un finale, a spiegarmi che oltre le mosse finte, oltre i placcaggi studiati, c'è di più.
C'è una sceneggiatura, c'è una storia, c'è una rivalità che su quel ring si crea e genera interesse.
E ci sono personaggi che crescono, evolvono, che aiutano chi li interpreta a superare certi limiti, certi traumi, certe debolezze.
Così, Saúl Armendáriz trova forza nel suo Cassandro, trova il successo, ma anche il coraggio di affrontare un amante restio ad uscire allo scoperto e un padre che è abituato a vedere da lontano.
Sfidando le regole di un gioco in cui gli exotici non sono omosessuali, in cui sono destinati a perdere per non umiliare i loro muscolosi e machi rivali.
Con la sua storia, quindi, aiuta gli altri.
Tutto bene, quindi?
Non proprio, perché anche se Gael García Bernal brilla nel film, riuscendo a ringiovanire e a risultare credibile fuori e dentro il ring, il ritmo non è dei più leggeri o solidi.
Manca la scintilla a un film che rende poco spettacolari incontri che dovrebbero essere uno spettacolo, poco entusiasmanti i cambiamenti che lentamente avvengono in Saùl.
Tutto sembra succedere troppo in fretta o troppo lentamente, improvviso o senza grosso clamore.
Con i flashback che tali non sono a dare una nota zuccherosa alla sceneggiatura.
Di film su aspiranti o navigati wrestler ne sono stati fatti, per sdoganare cliché e pregiudizi.
Oltre all'omonimo diretto da Darren Aronofky, ci sono Super Nacho e Una famiglia al Tappeto che per i cliché e i pregiudizi di cui sopra non ho mai avuto voglia di recuperare.
Gael García ha il fascino giusto per convincermi, ma volendo distaccarsi dallo stile dei biopic classici, volendo risultare giustamente più personale. Mi ritrovo a puntare il dito contro la regia di Roger Ross Williams, qui al suo esordio nella finzione dopo una carriera nei documentari che ovviamente influisce nello stile scelto.
Più sporca e meno brillante, da una fantastica carriera di un wrestler mi aspettavo colori e un'energia diversi.
Le aspettative sono proprio delle brutte bestie.
Voto: ☕☕½/5
Gael è sempre un bel vedere, anche così agghindato, ma i toni sono diversi sia dalle aspettative sia da quelle che un racconto così richiedeva. Sotto la pasta drammatica, poco si approfondisce. Teniamoci Wrestler.
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