1 settembre 2023

Venezia 80 - Dogman

Che in inglese God al contrario diventi Dog non è un caso.
I cani sono l'unica famiglia che Douglas ha mai conosciuto.
L'unica che l'ha amato, almeno.
Arrestato nelle vesti di Marylin Monroe, racconta la sua storia a ritroso a una psicanalista chiamata a capire il suo caso.


Ne esce una storia di violenza e soprusi, di padri violenti e di madri che scappano e di cani con cui condividere un letto, del cibo, dell'amore.
Sono gli unici che lo capiscono, così bene da diventare le sue gambe, ora che camminare per lui con un proiettile in corpo è un andare incontro alla morte, sono la sua guardia e il suo lavoro: offrono protezione, sono dei portenti nelle rapine.
Ma Doug è molto più di un disabile dal passato traumatico.
Vive quando mette le sue maschere, quando recita Shakespeare e quando su un palco con altre Drag Queen, riesce finalmente a stare in piedi.
E allora, chi è Doug?

Un uomo che sussurra ai cani, una personalità complessa che affascina una psicanalista dalla vita altrettanto complicata, un personaggio unico, che esce dalle mani di Luc Besson che mescola i generi e la narrazione.
Fermo a livello di sceneggiatura (l'espediente dell'interrogatorio) agli anni '90, dà luce alle performance sul palco, sa far recitare dei cani meglio degli attori.

Non di Caleb Landry Jones, che conferma la sua filmografia di personaggi inquietanti, che qui con o senza maschera brilla e si mangia la scena, dando un cuore, delle cicatrici interiori, a un personaggio non facile che affascina più di un film che nonostante le varie derive che prende, non sa di troppo originale.
Tra chi cita Oliver & Co. e chi un Mamma ho perso l'aereo versione canina, il cuore dei cinofili batte più forte di quello dei cinefili, permettete la battuta.

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