Tre film, tre Giapponi diversi.
Evil Does Not Exist
Dopo Drive my Car, le aspettative nei confronti di Ryusuke Hamahuchi erano alte.
Non delude, ma spiazza.
Perché porta in un Giappone che deve fare i conti con la modernità, un Giappone naturale, un villaggio montano che sta per essere coinvolto dalla costruzione di un glamping.
La popolazione, non così contraria, porta avanti i suoi punti con logica e razionalità, dimostrandosi più preparata di quello che i costruttori pensano.
Lì, dove l'acqua arriva dalla sorgente, dove la natura offre erbe e legna, lì dove i cervi non devono essere disturbati, inizia una piccola lotta di colonizzazione.
Regna il silenzio, in quella natura perfettamente fotografata.
Regnano anche i dialoghi, votati al confronto, fra generazioni o estrazione sociale.
Ma il ritmo avvolge, coinvolge, e la tensione cresce perché qualcosa sta per succedere, lo si sente.
E quando accade, improvviso, sul finale, spiazza.
Per una violenza improvvisa, per un cambio di rotta che non ci si aspetta.
Se la critica già lo ha eletto a capolavoro, avrei bisogno di più tempo, di un'altra visione, per capire come gestire quello strappo.
Nel mentre, ringrazio per le immagini, per la musica, per la bellezza che hanno.
Hokage
Il Giappone storico, il Giappone violento.
Ho da sempre un conto in sospeso con Shinya Tsukamoto e lo stavo per risolvere grazie a questo film dal sapore storico e ovviamente intenso.
Siamo alla fine della II Guerra Mondiale in un villaggio devastato dall'incendio e dai soldati tornati dal fronte tormentati e menomati.
Si sopravvive come si può, una giovane prostituendosi, un orfano rubando.
Formano una coppia che salva entrambi, almeno temporaneamente, dalle brutture della vita, ma è una pace temporanea.
Troppi i mostri contro cui combattere, di nessuno ci si può fidare.
Ha il sapore del piccolo film Hokage, che sposta il punto di vista del protagonista uscendo d'improvviso da quella casa per trovare solo altre tragedie.
Ma manca il tocco, manca il coinvolgimento, e la visione a tarda sera non aiuta a rimanere soddisfatti dal risultato.
Sidonie au Japon
Il Giappone visto dagli occidentali.
È una scrittrice che non vive più, Sidonie.
È una moglie che non ha più marito né famiglia.
Ma la ristampa del suo primo, biografico, romanzo, la porta in Giappone, convinta da una lettera del suo curatore che, come lei, vive in una terra straniera.
Quella dei sopravvissuti a tragedie, a famiglie scomparse, e che per questo si ri-conoscono.
L'iniziale diffidenza, gli iniziali errori nel confrontarsi con una cultura così diversa che rende anche il cibo diverso, si appiattiscono poco a poco, lasciando spazio ai sentimenti, a un avvicinamento che anche il fantasma di un marito benevolo, concede.
Perché in Giappone, i fantasmi si fanno vedere, aiutano e consigliano, portando Sidonie in una nuova fase della vita.
Isabelle Huppert che continua a scegliere piccoli film da illuminare, è perfetta in un ruolo fatto di gesti e di dettagli, da cui era lecito aspettarsi un tocco in più, una dolcezza maggiore nell'amore che inevitabilmente nasce.
Un Lost in Translation per adulti, e per questo originale in parte, dallo stile francese.
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