9 settembre 2023

Venezia 80 - I Film Francesi

Una carrellata dei film francesi presentati fuori e dentro il Concorso.

Hors-Saison

Cosa c'è di più francese di una coppia di amanti che si ritrovano?
Cosa c'è di più francese di lunghi dialoghi, sguardi intensi e qualche riflessione sulla vita e sulle scelte fatte?
Parte come una commedia, l'ultimo film di Stephane Brizé, che non sembra lui. 
Esce dai film di denuncia, i film sociali e politici sul mercato del lavoro e abbraccia la natura del mare d'inverno. Con un attore in crisi, scappato dal palcoscenico in cui doveva debuttare e che trova rifugio in un albergo spa dove riprendersi.
Lì, proprio lì, dove abita la sua ex. Che si è rifatta una vita, ma non l'ha mai dimenticato né ha mai rimarginato le ferite che gli ha inferto lasciandola.


È un film francese, e spesso divaga come fanno i film francesi. Lascia i suoi protagonisti belli e intensi (anche se Alba Rohrwacher qualche lezione di francese in più poteva farla) per raccontare di amori nascosti, per mostrare matrimoni tardivi, per sorridere di situazioni paradossali in un albergo che sembra una terra straniera.
Fortuna che c'è Guillaume Canet, bello anche stropicciato, bravo anche quando non è al centro.
Un film francese, appunto, che divaga e si allunga, prendendo di fascino.

Daaaaaali!

Quel genio di Dupieux colpisce ancora e non delude.
Nell'anno in cui un altro film biografico è uscito, lui se ne esce con un film di appena 77 minuti che racchiude tutta la sua follia, e quella di un artista eccentrico e egocentrico come Salvador Dalì.


Si alternano attori, si alterna finzione e sogni, in un gioco di scatole cinesi che sembra non avere fine e di trovare assurde che richiedono applausi e risate.
Il modo migliore di raccontare Dalì è quello di entrare nella sua mente dove tempo e sogni di fondono, e in pochi minuti, Dupieux ci riesce.
Quanta genialità!

Vivants

Alix Delaporte ci porta dentro una redazione di videoreporter, una professione che sembra in via d'estinzione che causa budget sempre più striminziti ha perso di senso e se ne sta chiusa a Parigi senza più stare al centro dell'azione.


L'occhio con cui entriamo è quello di una stagista appena assunta che deve imparare un mestiere.
Osserva e si innamora, perché nella breve durate di vita di questa redazione agli sgoccioli, c'è tempo pure per una storia d'amore non troppo richiesta.
La sensazione è quella di un breve omaggio, sentito e sincero, per una parte di vita del regista.
Asciutta e non troppo approfondita, funziona così.

Making Of

È un film nel film, nel film.
Siamo dietro le quinte della realizzazione di un Making of di un film sull'occupazione di una fabbrica, un Making of che mostra le difficoltà di registi e tecnici a completare quel film, con il finale senza speranza non accettato dai produttori, i soldi che iniziano a scarseggiare, la difficoltà di andare avanti.


È una lotta anche la loro, come quella degli operai che occupano per non perdere il loro posto, anche se gli attori cercano l'effetto più intenso, l'inquadratura migliore e paragonarsi a operai che hanno rischiato tutto sembra troppo.
Il film nel film mette così in mostra l'ego di artisti, la confusione di un set e i meccanismi di produzione infernale su cui si sta protestando a Hollywood.
Una ferita aperta che i francesi trasformano nella solita commedia sociale urlata e urlante, che diverte e fa riflettere ma che a volte esagera nei toni.
Non perfetta, o semplicemente vista nel momento sbagliato.

Quitter la Nuit

Ok, ok, non è un film francese ma belga.
Meglio specificarlo per evitare problemi.

Un'operatrice riceve una telefonata d'emergenza.
La donna dall'altra parte la chiama sorella, le chiede di tenere la figlia un altro po', la informa che ha lasciato una festa, che è in auto con un uomo. Ha paura, sta denunciando, deve farsi trovare.
Deve gestire la situazione, in modo da non insospettire quell'uomo che ha abusato di lei e che ora chissà che altro vuole fare.
È un inizio teso, con la polizia che si mobilita e che poi cerca di capire cos'è successo davvero.


Delphine Girard non si ferma a una dinamica già vista (vedi The Guilty) rimanendo in quell'auto, al telefono.
Decide di approfondire il suo stesso cortometraggio parlando del dopo. Della difficoltà di fare una denuncia, del convivere con il peso di uno stupro subito, di una polizia sospettosa, di una giustizia lenta. E guarda anche quell'uomo nella sua crisi di coscienza, che dice di essere innocente, era tutto consenziente. E guarda anche a quell'operatrice, segnata da una chiamata che ha salvato una vita, che ha smosso ricordi.
Ci si muove tra una casa e l'altra, tra uno sfogo di rabbia e uno di pianto, mentre quella notte viene ricostruita.
Senza eccedere se non in una coda finale dal confronto non necessario, Quitter la Nuit è il mio film di chiusura di quest'anno e visto il tema importante, la realizzazione attenta e rispettosa, non poteva andarmi meglio.

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