Quella che inizia oggi è la Settimana Horror che avrà il suo culmine già questa sera alle 21.00 con la partecipazione alla mitica Notte Horror della Blogosfera.
Ma non potevo non darne un anticipo con serie TV crime in cui l'orrore è più umano che soprannaturale, certo, l'orrore si può declinare alla black comedy ma anche a un prodotto Netflix davvero orribile:
Dept. Q
Per un po', è stata LA serie TV da vedere su Netflix.
Un po' di effetto all'Adolescence, un po' del fascino di Matthew Goode, un po' di crime che come sempre sulla piattaforma tira.
Ma l'entusiasmo è scemato in fretta e devo ammettere che non mi ha mai convinto fino in fondo.
Colpa di un pregiudizio, tutto mio, che pensava la serie sviluppata con episodi verticali e non un solo caso da seguire in modo orizzontale, non avendo lo stesso mordente per tutti gli episodi e scivolando qua e là in risoluzioni rischiose.
Colpa di un senso di già visto, che se è vero che il detective stropicciato, misantropo e problematico è un classico delle serie TV investigative, a maggior ragione se inglesi, c'è una serie TV che ci assomiglia molto e che fa meglio il suo lavoro: Slow Horses, quattro stagioni che sono brevi e intense e fenomenali, con altre tre stagioni in arrivo a farne un fiore all'occhiello di Apple TV+ che come sempre la pubblicizza poco.
Certo, Matthew Goode ha molto più fascino rispetto al Gary Oldman unto e odoroso relegato ai margini dell'MI5.
Ma torniamo a Edimburgo, dove Dept Q è ambientata e pure questa è una location che si rispetta. Meno da cartolina e meno turistica, si muove tra periferie e paesini, isole, limitrofi alla ricerca di una magistrata scomparsa. Una fuga volontaria? Un suicidio? Un rapimento?
La verità è molto più sconvolgente del previsto, quasi troppo vorrei dire, ma la si accetta per come i personaggi sono caratterizzati. Dal cinico Carl Morck, inglese fra scozzesi, sopravvissuto quasi indenne a una sparatoria su cui non si riesce a indagare, che si trova come colleghi in uno scantinato ammuffito l'emigrato siriano Akram Salim, la giovane Rose con sensi di colpa per un inseguimento finito male e che devono portare luce a un Dipartimento che per i cold case riceve fondi e pubblicità.
C'è spazio anche per la vita privata di questi agenti, tra un figliastro non facile da gestire, una psicologa di cui invaghirsi, un fratello mentalmente compromesso da aiutare.
Come detto, più casi avrebbero giovato evitando la sensazione di girare a vuoto di alcuni episodi e di alcuni momenti. Ma di per sé, funziona e intrattiene, dilungandosi a differenza della molto più incisiva, molto più esplosiva, molto più consigliata Slow Horses.
Where's Wanda
Se siete tentati di passare al lato oscuro di Apple TV+ e della qualità che contraddistingue le sue produzioni molto mal pubblicizzate, potete dare una chance a questa serie TV tedesca.
Tedesca, esatto.
Lo spunto è uguale a molte altre: in un paesino apparentemente perfetto, una bella ragazza, una figlia non certo modello ma amata, sparisce nel nulla.
Anche qui si pensa a una fuga volontaria, a un colpo di testa o un amore improvviso.
Ma i genitori la conoscono bene e non ci stanno, né alle indagini senza risoluzioni della polizia né nella vittimizzazione che ne fanno i media locali, decidono così di indagare da sé fra i propri vicini, installando in modo via via più professionale microcamere spia e tenendo conto di spostamenti, sospetti e allusioni.
Le verità che troveranno sono quella dei tanti piccoli e grandi segreti dei paesini dove contano le apparenze e ci si lascia andare fra le mura domestiche. Tra tradimenti e perversioni, giri illegali di animali esotici con la leggenda di un mostro nella foresta a sembrare più vera del previsto.
Narrata dalla stessa Wanda (una Lea Drinda che strega) in chiave ironica e con un cast in cui primeggia Heike Makatsch, si sta dalle parti del comico, volontario o meno, ma con una comicità tedesca, quindi pacata anche se urlata, buffa anche quando di mezzo ci sono mancanze e dolori.
Stare a Sundersheim diventa così uno spasso, con la risoluzione del caso a passare dalle parti di Stoccolma e una seconda stagione confermata che dovrà tirare le fila.
The Madness
L'algoritmo di Netflix mi conosce?
Non l'ho ancora capito.
Finito Dept. Q mi ha consigliato questa misconosciuta miniserie con Colman Domingo.
Ora, sarà che ho un debole per l'attore, ma il consiglio me lo risparmiavo volentieri. In fondo, se in un anno non era entrata nei miei radar un motivo c'era.
Ma eccomi qui, complice anche la presenza di Bradley Whtiford (il recuperone di West Wing è arrivato alla stagione 3, un distacco di bellezza netto in confronto a questa produzione), dicevo, ho sopportato i lunghissimi, tediosissimi, inutilissimi 8 episodi che partono con un giornalista di punta che in ritiro in una baita assiste all'omicidio del suo vicino di casa e si salva per miracolo, finendo per investigare su un giro di cospirazioni fra gruppi estremisti di destra e di sinistra che vogliono incastrarlo per quell'omicidio.
Il protagonista Muncie Daniels è forse il più incapace dei personaggi fittizi a darsi alla fuga, a difendersi, a nascondersi o a seguire l'istinto di sopravvivenza, mettendosi continuamente nei guai, al centro del mirino, prendendo scelte sempre più sbagliate che coinvolgono anche chi gli sta vicino.
Si arriva alla fine con una fatica che non ripaga mai, nemmeno nell'immancabile storia d'amore di cui si poteva fare tranquillamente a meno, sperando fosse tutto frutto di quel romanzo poliziesco che era andato a scrivere in una baita isolata e che di certo non sarebbe stato un best seller.
Invece no.
Muncie che non si nasconde, non si rade, cade nelle trappole di chi lo cerca, ce lo teniamo così.
Non ascoltate l'algoritmo, non fatevi ingannare dal cast, ma passate oltre. Non c'è davvero niente da salvare in questa grande produzione che fa acqua da tutte le parti.
Voto: ☕/5
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