Andiamo al Cinema
La regia di Olivia Newman.
La produzione di Reese Whiterspoon.
Il romanzo di Delia Owens.
La canzone scritta appositamente per il film da Taylor Swift.
E poi, ovviamente, Daisy Edgar-Jones ad interpretare Kya Clarke.
Un film in cui l'impronta femminile è ben presente, e si sente.
Si sente nella caratterizzazione di Kya, nel suo soffrire per l'abbandono materno e nel suo orgoglio per cercare di farcela da sola, alle prese con un padre violento prima, con la solitudine poi.
Anche se la figura maschile salvifica c'è, e risponde al nome di Tate: ragazzino che da quel padre la difende, che la riporta a casa e che poi, da adolescente, le insegna a leggere, a scrivere, spronandola ad uscire da quella palude che è diventata il suo rifugio attraverso quella palude: quei disegni, quegli studi che senza saperlo realizza sulla natura che la circonda e che potrebbero trovare un editore interessato.
Tutto questo ci viene raccontato come un lungo flashback mentre Kya rischia la pena di morte.
Accusata di aver ucciso il suo amante -altrettanto violento- che si è approfittato di lei dopo che Tate l'ha abbandonata.
Kya, la ragazza della palude, la selvaggia sbeffeggiata, abbandonata e derisa da un'intero paese, ora da quel paese è giudicata. Difesa solo da un avvocato dal cuore d'oro e da quei negozianti che nel loro piccolo hanno cercato di aiutarla.
L'impronta femminile, si diceva.
In un racconto che ambientato com'è a cavallo tra gli anni '50 e '60 nell'America di provincia, ricorda Il buio oltre la siepe di Harper Lee.
Anche qui un processo viziato dai pregiudizi, anche qui una comunità ferita e unita.
Ma il punto di vista resta interno, resta quello di Kya che si racconta.
In un ambiente come quello delle paludi della North Carolina che di per sé sono mozzafiato, spiace allora vedere come la fotografia ceda ad effetti speciali e a un uso di luci troppo patinate.
Così come sono patinati i momenti romantici della storia, che sembrano usciti non da un best-seller acclamato dalla critica, ma da un romanzetto rosa fatto di petti su cui sospirare.
Sarà che Taylor John Smith e Harris Dickinson non sembrano appartenere all'idea che si ha dei giovani del sud dell'epoca, così come Edgar-Jones sembra fin troppo pulita per essere la ragazza della palude di cui un paese intero sghignazza.
Fortuna che Daisy dimostra ancora una volta la sua bravura, facendo dimenticare pathos non necessari, trucchi posticci nel finale, a favore di un processo che come sempre si fa accattivante.
Per un giallo paludoso, il fango è però meno del previsto.
E nello sporco su cui si poteva scavare, si finisce per rimanere in superficie.