7 maggio 2018

Il Lunedì Leggo - Che Paese, l'America di Frank McCourt

Me lo aveva fatto conoscere la professoressa di inglese del liceo, avida lettrice, avida dispensatrice di consigli.
Peccato che Le ceneri di Angela fosse anche troppo depressivo per i miei gusti, che per quanto fosse coinvolgente la storia di Frank, dei suoi fratelli e di una famiglia irlandese emigrata in America e presto rientrata a Limerick, non risparmiava tante, troppe, note dolenti. Non era bastato neppure quel disincanto, quella voce bambina che racconta e descrive, e cresce e cambia man mano che le pagine -e la vita- avanzano.
Di un seguito sapevo, ma tentennavo.
Sono passati gli anni e con l'andare in America pure io, nel trovare Frank d'improvviso al mercatino dell'usato, ho visto una coincidenza.



Ricordavo poco, ma poco importa, Frank lo ritrovo lì dove l'avevo lasciato, in viaggio verso l'America dove è nato ma dove non si è mai sentito e forse mai si sentirà a casa, su una nave che a New York lo porta, alla ricerca di un destino migliore, di un lavoro più sicuro, con cui riuscire a mantenere a distanza la madre che sola cresce il resto dei fratelli, e quei fratelli stessi.
La voce, di Frank, è quella che ricordavo, veloce e indolente, piena di ironia e pure di cinismo, mentre cerca di mantenersi come può, mentre affronta paure, imbarazzi, prime cotte, e innumerevoli umiliazioni, da solo, nella Grande Mela.
Un po' fa antipatia, per questa sua continua insicurezza, un po' lo si capisce, giovane sperso fra le strade e le luci di New York, a ripensare agli immigrati prima di lui, a condividere sogni e speranze di chi come lui è lì. Si rifugia nei libri, allora, entra nella Public Library dove per la prima volta gli mostrano gentilezza, e inizia a leggere Dostoevskij, inizia a conoscere gli autori della sua terra, a passare da uno all'altro, in un continuo gioco di rimandi, di citazioni e parole che lo portano a scoprire il mondo, lì, su carta.
Nel mentre fa lo spazzino in un gran hotel, scarica merci al porto, entra nell'esercito e infine approda dove mai pensava di entrare: all'Università.
La vocazione all'insegnamento, lui che le scuole superiori mai le ha fatte, il confronto con chi i privilegi li ha sempre avuti, con un altro amore, con la vita da adulto quando ancora si sente bambino.
E poi, l'insegnamento vero e proprio, i tentativi a volte riusciti a volte meno di coinvolgere i suoi studenti, di farli appassionare allo studio, proprio come quella mia professoressa di inglese. Un'altra coincidenza.
È una vita intera quella che Frank ci narra e a cui perdono quella narrazione in prima persona con cui ho capito di faticare sempre un po' di più.
Perché dentro c'è una famiglia nata povera e che cerca il riscatto, c'è una madre che commuove nel suo essere buona e dura allo stesso tempo, ci sono scene in cui un padre Frank lo trova in un collega di colore, in un vicino di casa irriverente, in compagni di bevute, pure, come se anche il suo destino, con il cognome che si ritrova, fosse segnato.
Capitoli che sono episodi, che sono riflessioni, che passano veloci ma sanno comunque lasciare il segno.
Ritrovarlo, così, seguendo le stesse strade, vedendo la stessa America con occhi pieni di speranza e di sogni, mi ha fatto sentire più vicina a Frank e alla sua voce, alla sua storia, e le lacrime, versate in aereo al momento del decollo, ne sono la prova.

2 commenti:

  1. Foto che ispira più del romanzo in sé, questa volta, anche se Le ceneri di Angela lo incrocio spesso. Sarà destino? :)

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    1. Potrebbe, ancora non so perchè fosse così pubblicizzato ai suoi tempi. Forse letto oggi, con mente più adulta e più pronta a certi dolori, il parere sarebbe diverso visto com'è stato piacevole girare per New York con Frank adulto...

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