8 febbraio 2021

Il Lunedì Leggo - Kobane Calling (Oggi) di Zerocalcare

Arrivo tardi, ancora.
Arrivo tardi e lo so.
Arrivo in un anno i cui Zerocalcare è esploso ancor più grazie alle strisce su Propaganda Live e con non una, ma ben due nuove uscite (Scheletri e A Babbo Morto).
Arrivo tardi, ma è che il mio recupero lo centellino, guardando anche al portafoglio visto che i fumetti non sono proprio economici e che non solo Zerocalcare esiste.
Arrivo tardi, e arrivo in un anno in cui la guerra in Siria sembra essere uscita dai telegiornali.
C'è una pandemia, ci sono un'elezione e una campagna elettorale, c'è una crisi di governo.
E di quello che succede al di là del confine turco, poco si parla.
L'ISIS non fa più paura?
Non esiste più?
No, esiste, e qualche attentato lo fa ancora, anche se fanno meno notizia perché non nel nostro mondo occidentale.
Arrivo tardi, dicevo, ma arrivo con una versione aggiornata, perché se i romanzi appartengono al tempo che li ha visti nascere, quando si parla di un pezzo di storia ancora in corso e che è cambiato (o peggiorato, dimenticato…) è meglio far uscire quello stesso romanzo con delle aggiunte, delle prefazioni e delle postille che anche se sembrano dei pistolotti, aiutano a fare il quadro della situazione.


Zerocalcare non parla solo di trentenni in crisi, con fisse e frustrazioni varie, qui non c'è un lutto da elaborare né un passato familiare da scoprire.
A questo giro c'è una guerra e soprattutto una Resistenza da far conoscere.
Mettere la propria arte, il proprio talento, il proprio canale di comunicazione, a servizio di una causa.
Quella dei curdi, che con fatica e soprattutto con sangue strappano metri di terreno all'ISIS, resistono ai soprusi turchi, cercando di creare una società migliore, dove conta la convivenza, la crescita, il rispetto di religioni e credi diversi, dove la donna è libera, dove tutti si è uguali.
Utopia?
Potrebbe sembrarlo.
Ma una Resistenza che va avanti e che se fatica a far crescere frutti, di certo sta già piantando semi.


Kobane Calling parla di due viaggi, quelli di volontari partiti da Roma per portare aiuti e per aiutare.
Parla delle difficoltà di muoversi, spostarsi, confrontarsi, tra burocrazie e geografie impervie, parla di una bellezza diversa, di una pagina importante che andava messa su carta.
Il viaggio di Zerocalcare è questo.
In cui la sua ironia trova comunque spazio per sdrammatizzare la situazione tragica che lì si vive, contro lenticchie a colazioni, contro un mammut che chiede conto di un trasferimento fuori Rebibbia, mostrando il terrore dei genitori, le paturnie personali.
Ma a fare la differenza è l'incontro con persone diverse.
Persone normali, che hanno vite e passati straordinari, in senso drammatico.
Che hanno già vissuto più dolore di quanto si possa immaginare.
Sono queste le pagine più dolorose, quelle che si tingono di nero, che mostrano realtà.


Sommandosi nella loro brevità, nel loro riassumere un primo viaggio e poi un secondo, le tavole di Zerocalcare cercano di lasciare un segno, di strappare un sorriso in mezzo a quel dolore e a quelle macerie, per aprire occhi e coscienze.
E ce la fanno.
Si finisce in lacrime di rabbia e di impotenza.
Ora mi sento non troppo informata, ma con fame di informarmi meglio.
Piuttosto inutile nel mio non far niente, non aiutare in altro modo se non con piccole donazioni.
Mi sento piccola di fronte a gesti così grandi e che sembrano anacronistici, come dare la propria vita per un'ideale.


Ci si sente minuscoli, in colpa e complici nel silenzio, ci si sente stringere il cuore e lo stomaco di fronte a queste vite, a queste scelte, a queste guerre quotidiane.
Quanto sanno fare semplici ritratti, postille e quelle pagine intere che tolgono il fiato!
Più di servizi giornalistici in cui manca l'approfondimento, in cui un tot di morti nemmeno fanno più notizia, nemmeno fanno sussultare.
Quella guerra che avevo imparato a conoscere con i reportage di Imma Vitelli che guardando al particolare, parlava del generale, qui -nonostante sintesi che urticheranno gli esperti di geopolitica- la si spiega, la si comunica, ancora meglio.
Una lezione semplice per essere efficaci, per non parlare solo di numeri, di morti, di attentati, di città distrutte, in cui anche le canzoni apparentemente più distanti, sanno raccontare e descrivere quelle realtà.
Immergere e toccarlo quel mondo, quelle vite, farle nostre perché nessun uomo è un'isola e la campana di Kobane suona anche per noi.

6 commenti:

  1. Non si può chiedere ad un artista di fermarsi ad un punto della sua carriera, sarebbe una pretesa da fan(atico), ma per me questo fumetto-reportage resta uno dei lavori più onesti, toccanti e approfonditi che abbia firmato Zerocalcare, non tutto quello che ha fatto dopo mi è piaciuto ma questo è un problema mio, “Kobane Calling” illustra meglio l’argomento degli ultimi venti articoli giornalistici che ho avuto modo di leggere, poi dicono che i fumetti non servono a niente ;-) Cheers

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    1. Io sto centellinando le letture e mi sono data a quelle più corpose quest'anno, quindi il calo ancora non l'ho visto.
      Continuo a preferire il cuore di Dimentica il mio nome, ma qui siamo a tutto un altro grado -altissimo- di importanza.
      Ad avercene di reportage così.

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  2. Quando mi deciderò a leggere Zerocalcare, quando?

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    1. Spero presto perché è davvero irresistibile!
      Quanto a me: quando mi deciderò a leggere più GiPi? In questo mi batti, ma ormai che sono quasi in pari con le letture e avrò altri autori da approfondire.

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  3. Un giorno potrei arrivarci anch'io, ancora più in ritardo di te. ;)
    Per adesso mi limito ad aspettare la sua serie animata su Netflix.

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    1. Chissà che la serie ti spinga a questo recupero, ormai è scontato dire che sarà pane per i tuoi denti!

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