21 maggio 2013

Departures

E' già Ieri -2008-

Il mio percorso di redenzione nei confronti del cinema orientale prosegue.
E lo fa con un altro gran film giapponese che nel 2008 vinse l'Oscar come miglior film straniero.

Poetico ed elegante, Departures riesce a mostrare quello che non si vuole vedere, la morte e il morto, argomenti spesso tabù non solo per la cultura orientale ma anche per il cinema in genere. Raccontare con delicatezza il passaggio e il viaggio, l'ultimo, che si deve compiere non è semplice ma il regista Yōjirō Takita riesce grazie ad un protagonista aggraziato e a movimenti di macchina mai morbosi e insistenti a rendere questo passaggio e questo ultimo viaggio qualcosa di sublime, di bello.


Il tutto è reso possibile grazie a Daigo, giovane che capisce, con amarezza, di non avere il talento necessario per perseguire il suo sogno di diventare un famoso violoncellista e fa ritorno assieme alla moglie nel paesino d'origine. Orfano di madre e abbandonato dal padre ancora piccolo, Daigo trova lavoro per caso e per un malinteso nell'agenzia di Shōei Sasaki che si occupa di preparare attraverso un rito tradizionale, i defunti al funerale. Dopo l'iniziale diffidenza e paura, seguiti dagli scontri con una moglie e una società che taccia questo lavoro come qualcosa di degradante, Daigo avrà modo non solo di affrontare le sue paure e i suoi limiti, ma anche di percorrere una ricerca interiore della pace con se stesso, con i propri sogni e soprattutto con il traumatico rapporto con il padre.
Così facendo, lo spettatore stesso si rapporta con la morte in modo diverso, scoprendo l'eleganza e la poesia insiti in gesti semplici ma necessari, e scoprendo assieme a chi accompagna Daigo la bellezza eterna che proprio nella morte si può scoprire.
Departures è un film semplice, che si avvale dei movimenti dei protagonisti per ricreare un'atmosfera dimenticata, e da riscoprire in cui non mancano scene comiche e che fanno sorridere. I ritmi sono quelli lenti e silenziosi tipici dell'oriente, ma la trama ha quel sapore universale di ricerca che non può che affascinare grazie anche a delle musiche (perlopiù di violoncello) altrettanto incantevoli.


9 commenti:

  1. Gran bel film questo.. Delicato, toccante, molto lontano dalla nostra cultura..

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    1. Lontano ma vicino per me, ha un respiro universale nel suo trattare con eleganza il tema scottante della morte.

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  2. Film stupendo, uno dei titoli che più è stato in grado di sconvolgermi negli ultimi anni.
    Piansi come un vitello, quando lo vidi la prima volta.

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    1. Se non fosse per la marea di lacrime per The Big C penserei di essere guarita dalla mia lacrima-facilità... Toccante, davvero, ma occhi asciutti stranamente...

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  3. lo vidi al cinema e al momento mi piacque ma poi più me ne sono allontanato e più ho cominciato a vederne la "furbizia"...e lo dico da grande amante del cinema coreano e giapponese!

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    1. Furbizia? Uhm... inizialmente lo pensavo anche perchè ero convinta che il vecchio dell'agenzia fosse il padre scappato, invece quel finale non solo mi ha sorpreso ma mi ha fatto anche sorridere nella commozione!

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  4. Un film perfettamente riuscito.Trattare con lirismo e delicatezza il tema della morte,non è da tutti.

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  5. Un film stupendo, di cui ho apprezzato anche i momenti più umoristici (sono pochi ma ci sono) e il piglio documentaristico nel trattare un argomento poco o per nulla conosciuto.
    Non ricordo perchè, però ebbi l'impressione che fosse un po' pensato per un pubblico occidentale.
    Un piccolo appunto: io mi ricordo che il protagonista è costretto a tornare nel paesino e abbandonare la carriera non perchè non fosse un bravo musicista ma perchè l'orchestra in cui suonava si era sciolta per ragioni economiche.

    Recentemente ho scoperto che l'attrice che interpreta sua moglie era la stessa protagonista del Wasabi di Besson. Pazzesco.

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    1. Per me è pensato per tutti, siano orientali o occidentali vista l'universalità della morte.

      L'orchestra del protagonista si scioglie, è vero, ma piuttosto di cercare un altro lavoro simile e di continuare la carriera riflette sul suo talento e capisce di non averne così tanto, ecco perchè parte.

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