In attesa degli ultimi due titoli forti (America Latina e Freaks Out) questa giornata è all'insegna del tricolore.
Via con una carica tutta italiana:
La scuola cattolica
Da una parte un romanzo fiume, Premio Strega, che si interroga su un metodo educativo e su una generazione compromessa che ha generato mostri.
Dall'altra un delitto efferato, entrato direttamente o indirettamente nella coscienza collettiva d'Italia.
E poi, questo film che adatta il primo che racconta del secondo e lo fa in modo, diciamolo, molto approssimativo.
Calca la mano con un conto alla rovescia verso quello che succederà nella famigerata villa al mare, cerca di raccontare l'identità di compagni di scuola con una voce narrante non riuscendo a farceli distinguere, capire, tagliando improvvisamente corto sul loro destino.
E poi, si concentra in modo eccessivo su quello che accade a Donatella e Rosaria, alla sevizie subite senza nemmeno renderle cinematograficamente accettabili.
E si conclude con una breve riflessione, che estrapolata dalle 1000 e più pagine del romanzo, sembra qui appiccicata alla bell'è meglio.
Come se portare tutto il discorso sul germe del male, sul senso di colpa, fosse troppo.
Il cast di giovani promesse sembra altrettanto spaesato ed esagerato, quello delle sicurezze (da Scamarcio alla Cervi, dalla Golino alla Trinca) è relegato a piccoli ruoli che meritavano più spazio, meno cliché.
La riflessione finale è che non tutti i grandi romanzi devono essere adattati.
Forse questa era la spinta che cercavo per recuperare quanto scritto da Edoardo Albinati.
Appuntamenti sul mio comodino.
Qui rido io
Mario Martone torna a raccontare il suo amato teatro.
Non lo fa adattando una testo noto, lo fa raccontando chi il teatro lo scriveva, lo interpretava, lo viveva come una questione di famiglia: Eduardo Scarpetta, il re del botteghino della Napoli della Belle Époque, amato dal popolo e che il popolo raccontava, capace con il suo Felice Sciosciammocca di soppiantare nei cuori niente meno che Pulcinella.
E poi, sì, il padre che mai l'ha riconosciuto di Eduardo De Filippo.
Martone racconta la sua fame di applausi e di donne, con la sua famiglia allargata che si allarga sempre più e con sta con lui su quel palco.
Ma ci si concentra sulla questione che ne ha minato la gioia e ha messo in discussione il suo lavoro: l'accusa di plagio, con il primo processo sul diritto d'autore e con uno come Gabriele D'Annunzio a fare denuncia.
Ma la parodia, può essere plagio?
L'aula di un tribunale può trasformarsi in un teatro?
Toni Servillo, che in questa Mostra si è triplicato, è la solita maschera di bravura che lascia poco posto agli altri, ma mentirei se dicessi che mi sono ritrovata coinvolta dalla vicenda, se ho simpatizzato con un protagonista così ingombrante.
Impeccabile a livello tecnico come sempre sanno essere i film in costume, allo scroscio di applausi finale non ho partecipato.
È un racconto e una vita distante da me, per un film che eccede nel minutaggio ma non nella personalità del linguaggio.
Il Paradiso del Pavone
Quanta italianità signora mia!
Non ci bastava Muccino con le sue riunioni di famiglia urlate, ora ci vuole anche la versione esteticamente meno curata, sussurrata, timida per l'ennesimo film da camera, anzi da tavola tra parenti serpenti e i loro segreti.
Ci sono genitori che vivono una relazione a tre da anni senza dirlo a nessuno, c'è chi si sposa senza avere soldi né affiatamento, c'è chi finge di stare ancora assieme e ancora si desidera nonostante la rottura. E c'è un Pavone, relegato in un terrazzo che compie la scelta giusta di volarsene via.
O almeno, tentarci.
Come da copione il cast è fatto dai soliti nomi noti (Alba Rohrwacher, Maya Sansa più Dominique Sanda), che niente aggiungono ai ruoli a cui sono soliti.
E allora, il senso, di questa riunione, dove sta?
Ariaferma
In un carcere i veri prigionieri sono chi sta dietro le sbarre o chi li controlla?
Se si trovano nella stessa situazione di stallo, se il cibo scadente è lo stesso, se le direttive mancano ad entrambi, come può la loro situazione essere diversa?
Il carcere di Mortana sta per chiudere, ma restano 12 carcerati in attesa di essere trasferiti e quindi un manipolo di guardie chiamato a gestirli.
Manca la cucina, manca la corrente, pure, e si aggiunge un giovane pregiudicato senza famiglia che diventa il cuore da proteggere.
Lo scontro è interno ed esterno.
Fatto da differenze di origine, di pensiero e di scelte.
Uno scontro tra guardie per una libertà eccessiva regalata, uno scontro ideologico tra chi sta dentro e fuori, e non vuole cedere.
Ma ad un carcere diverso il maresciallo Gargiulo crede, ad una condivisione della mensa e dei sentimenti, vuole dare una chance. La guardia deve rimanere alta, resta alta, con la tensione che non molla fino alla fine del film.
Che non è di denuncia, che in un momento difficile per le carceri italiane non si pone come modello, ma come racconto possibile.
Teatrale, sia nella messa in scena all'interno di un ambiente circoscritto e altamente cinematografico che nella scelta degli attori in cui Toni Servillo e Silvio Orlando fanno a gara di bravura, regala un prefinale intenso e sincero, quasi biblico.
Ammetto che in sala non sarei stata trascinata a vederlo, ma qui, quest'aria ferma, statica ed elettrica, meritava la mia attenzione.
Anche questa volta, chi più e chi meno, li vedrei tutti. Peccato la Bispuri, avevo adorato Figlia mia.
RispondiEliminaQuesti purtroppo è un film già stanco, di riunioni di famiglie ne abbiamo viste, questa non aggiunge niente se non meno urla, più sussurri timidi.
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