21 febbraio 2023

Copenhagen Cowboy

Mondo Serial

A volte pensi di essere tu il problema.
Di essere troppo stanca, sopraffatta dai tempi veloci in cui ora ci si muove, abituata a prodotti che questa velocità la tengono bene con un ritmo, una dinamicità che prende.
Pensi pure di non essere abbastanza per un certo tipo di racconto, di punto di vista, di tecnica.
E arrivi pure a pensare di esserti persa il momento, di non poter fruire di un tale prodotto come meriterebbe.
Tu che potevi vederlo nella sala più grande e imponente di Venezia, alla presenza del regista stesso, come puoi competere con il divano di casa e lo schermo di una semplice TV?
Ma poi razionalizzi.
Se la serie in questione è prodotta da Netflix, su Netflix va vista alla fin fine, anche perché spossata al nono giorno di Mostra, di certo chiudermi in sala per 5 ore di una serie TV che avrei comodamente trovato sul mio abbonamento di lì a qualche mese… chi me lo faceva fare?
Ho perso un'esperienza ma ne ho guadagnato in sonno.
Un sonno che Copenaghen Cowboy concilia che è un piacere.


I ritmi sono davvero lenti, dilatati e soporiferi.
Nicolas Winding Refn se ne prende parecchio di tempo per raccontarci la sua storia, o le sue storie, facendo fare lunghi giri alla macchina da presa, che o sta ferma a lungo,  molto a lungo, o gira su se stessa inquadrando volti, ambienti, in attesa della battuta di un dialogo sempre più rarefatto.
In danese, poi, lingua che torna a frequentare dopo anni di espatrio americano che lo ha portato sul palmo di una mano fino a inchiodarlo.
Ma in tutto questo, di che parla Copenaghen Cowboy?
Difficile dirlo.
Ma facile spiegarlo: parla di una ragazza, con poteri speciali e che "porta fortuna", che ricchi criminali si passano di mano in mano. E della sua vendetta femminista, a mettere alla berlina papponi e spacciatori, alla ricerca di un serial killer vampiresco che ha ucciso la sua amante.
Tutto qui? 

Sì, ma ci sono tappe, ambienti, spalle e nemici che si susseguono passando da bordelli a ristoranti giapponesi fino a ville gran poco idilliache.
E porcili, dove i maiali uccidono e vengono uccisi, dal vero sul set , cosa che ha portato una denuncia alla produzione.
Ora, se si sopravvive al ritmo soporifero, se si è disposti a rivedere lo stesso episodio più e più volte per sopperire agli inevitabili abbiocchi com'è successo a me, Copenaghen Cowboy riesce pure a funzionare. A prendere poco a poco, lentamente, molto lentamente, fino a gasare pure un po' in un finale che promette scintille al grido di Hideo Kojima.
Peccato che questo resti aperto, e visto lo scarso entusiasmo generale, chissà se Netflix lo farà proseguire davvero con una seconda stagione dove il ritmo potrebbe essere più incalzante.


Refn più che un regista è ormai un esteta. Uno che guarda più alla giusta luce (al neon), ai giusti movimenti di macchina (circolari) e alla giusta estetica dei suoi personaggi (tute alla Kill Bill come uniformi), che non ai personaggi di per sé o alla storia che vuole raccontare.
Uno stile che non molla dai tempi di Only God Forgives e un assaggio lo si era avuto nell'altrettanto soporifera Too old to die young, che ingranava altrettanto lentamente riuscendo comunque a fare qualche balzo.
Sarà che i criminali americani/messicani sono più d'azione dei danesi.


Come fosse un'involuzione, Refn anche per il nuovo stile che ha deciso di avere sotto la sigla BYNWR, sembra più portato a girare videoclip che non serie TV. 
Videoclip di musiche dalle atmosfere lynchane, oserei dire, anche se Lynch stesso sa girarli da sé.
E, soprattutto, Lynch è uno che sa fare bene entrambi: video e serie TV.
Refn invece chi lo sa.
Sperimenta e si chiude nel suo ego.
Non ho capito nemmeno io se questo è un complimento.

Voto: ☕☕/5

6 commenti:

  1. Già avevo poca o nessuna voglia di iniziarla, tanto che continuo a rimandare, quindi ti ringrazio per l'ottima avanscoperta, Refn mi piaceva tanto, ma ultimamente siamo in rottura prolungata. Cheers!

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    1. Non so se dirti di provarla lo stesso visto il finale più movimentato e alcune parti esaltanti, ma è davvero dura arrivarci e fare pace con questo Refn esteta...

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  2. Io ero tra quelli che sono andati a vederlo a Venezia in sala, ben sapendo che, conoscendomi, certo non sarei rimasto lì per cinque ore di fila. In realtà ho resistito meno di mezz'ora, sentendomi un alieno: tutto intorno a me c'era una masnada di invasati che faceva partire l'applauso a ogni stacco di montaggio, accompagnato da urletti isterico di approvazione. Già questo mi indisponeva, non parliamo poi dei contenuti (contenuti?) di questa fiction, astrusi anche per i fan più fedeli di NWR, ormai a pieno titolo il regista più sopravvalutato della storia...

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    1. Mi sono confrontata con gli amici in sala che hanno retto per metà ed erano entusiasti pure loro. Non da urletti, ma avvinti alla trama, anche se l'effetto Darsena ha fatto la sua parte.
      Li sto aspettando su Netflix, perché davvero sono crollata su ogni episodio, arrivando a fatica al finale dove qualcosa si smuove.
      Refn lo abbiamo perso agli inizi, insomma. E mi sa che non si riprenderà più, fisso com'è sulla sua strada da esteta.

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  3. Il problema non sei tu. Il problema è Refn, che ormai purtroppo non ne azzecca più una e ci ammorba con questi lentissimi tremendi deliri personali XD

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    1. Oh, grazie per farmi sentire meno in colpa.
      Netflix gli approverà mai la seconda stagione? Non so cosa sperare...

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