29 ottobre 2024

Studio 60 on the Sunset Strip

#LaPromessa2024

Non è mai facile spiegare il vuoto che lasciano i miti di una vita, quando se ne vanno.
Come fai a spiegare il lutto, diverso ma intenso, privato ma pubblico, verso chi non conoscevi di certo, ma con cui hai condiviso serate, giorni, anni? Era un personaggio, certo, ma era anche uno di casa.
Quando Matthew Perry se n'è andato, un anno esatto fa, è stato uno shock.
Da scema quale sono, prima di spegnare la luce dopo un sabato sera in cui si era fatto tardi, è comparsa la notizia, rovinando quella notte e i giorni dopo. 
Come la spieghi la sensazione di aver perso un amico, anche se era "solo" uno di Friends?
La fortuna per noi spettatori, è che i miti, gli attori, i volti o le penne note, li si può sempre ritrovare su uno schermo,  e dovevo a Matthew Perry qualcosa di più di un post sui social, e visto che Chandler è Chandler, sono andata a recuperare quella che per molti è una delle migliori serie TV americane, che ha avuto la sfortuna di durare una sola stagione. 
Troppo bella per continuare, si potrebbe dire, o semplicemente troppo costosa.


Ammetto candidamente che prima della morte di Matthew io, Studio 60 on the Sunset Strip non l'avevo mai sentita. Mai era venuta fuori nei miei lunghi giri intorno all'internet, e pensare che oltre al suo, di nome, oltre a quello di Sarah Paulson, e di Bradley Whitford, ce n'era uno che doveva essere il vero campanello d'allarme per farmela recuperare fin da subito: Aaron Sorkin.
Quell'Aaron Sorkin, lo sceneggiatore mitraglietta, quello dai dialoghi densi e profondi, quello delle parole e parole e parole che non appesantiscono una sceneggiatura, perché c'è il suo ritmo a cui star dietro. La firma di Molly's Game e Steve Jobs, di The Newsroom, premio Oscar per The Social Network, che ho amato anche quando patinato con Being the Ricardos, anche quando troppo classico con The Trial of the Chicago 7. Quell'Aaron Sorkin che per molti significa The West Wing, e con il mio solito ritardo, con un'inaspettata pausa delle serie TV che non vede niente di appetibile, niente per cui sprecare il mio poco tempo libero, beh, ho deciso finalmente di iniziare. Alle porte delle elezioni americane più complicate di sempre (un'esagerazione? Forse. O forse no vista la posta in palio nello scenario mondiale attuale) avevo bisogno di entrare nella Casa Bianca, trovarci uomini capaci, un Presidente capace di fare il Presidente e ritrovare soprattutto fiducia nelle serie TV fuori dall'algoritmo. Lunga 7 stagioni (3 delle quali senza Sorkin) sarebbe risultata un azzardo dentro una futura Promessa, e rimedio così, guardandomi appena possibile uno dei 154 episodi e prendendo appunti su come si scrive, davvero.


Ma torniamo a Studio 60 on the Sunset Strip.
Che viene subito dopo The West Wing e forse per questo le aspettative erano così alte.
Ma come la superi una serie che per molti è LA SERIE ancora prima che il piccolo schermo diventasse quello che è oggi, luogo di qualità, sperimentazioni e fucina di talenti?
Impossibile, ma Sorkin ci ha provato e anche se per soli 22 episodi, per me c'è riuscito (certo, ne riparliremo fra 144 episodi -sì, sono già a quota 10).
Non siamo alla Casa Bianca, non siamo nel dietro le quinte di un governo che si muove frenetico nell'ala est. Siamo dietro le quinte di uno show televisivo, e che show televisivo.
Lo Studio 60 è in pratica il Saturday Night Live.
Live, quindi dal vivo, con 6 giorni a disposizione per preparare lo show, definire gli sketch, provarli, aggiustarli, cestinarli, per dargli luce in una notte in cui tutto deve andare alla perfezione per poi ripartire da zero.
Un lavoro non certo facile a cui vengono chiamati a ridare splendore dopo anni poco lustri, poco politici, due firme storiche del programma che da lì sono partite e da lì sono state cacciate.
Ce la faranno Danny Tripp e Matt Albie produttore e sceneggiatore ad alzare gli ascolti, richiamare gli sponsor e dare ragione alla novella Jordan McDeere, che li ha fortemente voluti nel network?
Come da copione, è una girandola di emozioni con i personaggi che lentamente si prendono i loro spazi, si fanno conoscere, tra dialoghi serrati e sguardi intensi.


Matthew Perry, in tutto questo, è un portento.
È ferito ma brillante, è innamorato ma frenato dai suoi paletti morali, è gigione quanto basta e intelligente quando serve. È, soprattutto, molto più simile a se stesso che in Chandler, con la sua dipendenza da alcool e pillole a entrare nel personaggio a rendere Matt ancora più tragico.
Sua spalla, Bradley Whitford, il Josh Lyman di WW, anche qui romantico e nostalgico, libertario e fedele come non mai alla sua truppa.
Poi ci sono i comici storici, Harriet Hayes (Paulson), Tom Jeter, Simon Stiles, c'è la nuova capa redazione che deve imporsi in quanto donna, diciamo pure bella donna visto che ha il volto di Amanda Peet.
E come un vero show, a rendere i costi della serie ancora più alti, non mancano vere star alla presentazione come Allison Janney (fantastica a dover improvvisare a suo discapito in diretta), Felicity Huffman, Jenna Fischer, Lauren Graham e veri ospiti musicali come Sting e Macy Gray.
C'è lo show, insomma, da mandare avanti, ci sono sketch da rifinire e crisi a cui tenere testa (pure la sparizione di un serpente, che finisce per costare più del previsto), c'è la politica che è sempre un tema spinoso, come il razzismo, come l'omofobia, come la religione e il dialogo lungo 8 anni tra la coppia impossibile Matt/Harriet è uno degli esempi migliori della scrittura della serie.
Vedere per credere:


Forse era troppo avanti Studio 60 on the Sunset Strip e per questo non ha potuto proseguire.
Per fortuna, il finale riesce a essere conclusivo, magari troppo lieto, troppo perfetto e buonista verrebbe da dire, ma visto che solo questi 22 episodi abbiamo, mi tengo stretti anche matrimoni, dichiarazioni d'amore e occhi lucidi conditi da flashback chiarificatori.
Se c'è un lato positivo che può uscire dalla tragedia di un attore come Matthew Perry che se ne va troppo presto, è che ancora può regalare queste sorprese.
Lo si può ritrovare sullo schermo, in un ruolo perfetto come era quello di Matt Albie. 
Non più solo Chandler Bing, ora. 
Ma sempre un amico.

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