4 maggio 2012

Hunger

Andiamo al Cinema.


Uscito nel 2008, Hunger aveva fatto incetta di premi, tra cui il Caméra d’Or a Cannes. Ora la Bim lo riscopre, complice il successo veneziano e non di Shame e lo porta anche negli schermi italiani.
Se le atmosfere grigie, la fredda analisi dei corpi colpivano già nel film che ha consacrato Michael Fassbender, in Hunger ritroviamo quel corpo immolato per la patria e per Ideali grandi, un corpo però ferito prima, sacralizzato poi. Fassbender interpreta qui Bobby Sands, uno dei leader del movimento indipendentista d'Irlanda assorto a simbolo della ribellione con la sua morte, e lo fa buttandosi letteralmente anima e corpo nel personaggio, arrivando a dimagrire drasticamente per interpretare i suoi ultimi giorni.
Il film racconta quella pagina ancora recente delle lotte e degli scontri, in cui uno stretto pugno di ferro veniva giocato tra governo inglese (qui rappresentato dai duri discorsi di Margareth Tatcher) e indipendentisti,con gli scioperi all'interno del carcere dello sporco, delle coperte e infine quello tragico (che portò a nove morti) della fame.
McQueen mette in scena tutto ciò con un distacco che porta lo spettatore ad aggrapparsi alla propria coscienza, muovendo quel sentimento di pietà che la Tatcher tanto denigra. Lo sguardo del regista osserva nitidamente, ponendosi come unico punto di vista, amalgamandosi allo sfocato e ai dettagli di un'occhio reso umano. La macchina da presa si muove raramente, arrivando a starsene ferma per 17 minuti ad ascoltare il dibattito filosofico-religioso tra Bobby e il prete, ma ad impreziosire e rendere tutto più sopportabile, per quanto possibile, è la fotografia, di una bellezza struggente e che si rende arte. La trama è ridotta all’osso così come i dialoghi, ritrovandosi a seguire le violenze fisiche e psicologiche del carcere, gli espedienti dei detenuti per comunicare con l’esterno, la logorante vita di una guardia, il deperimento e le sofferenze di un corpo ormai svuotato di senso. Tutto questo colpisce, colpisce allo stomaco dapprima per la violenza inaudita e la sensazione reale di sporcizia e disumanità all'interno della prigione, poi per la sofferenza, il coraggio e il dolore di una madre alla vista di un figlio, del suo corpo, che si sta lasciando morire o che stanno pian piano uccidendo.
Più di un film di denuncia, Hunger è un'opera d'arte che comunica attraverso i sensi e le emozioni che lascia, che fa riflettere ed indignare, e che poi ti resta dentro.

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