Quando uscì nelle sale J. J. Abrams era ancora sulla cresta dell’onda. Lontano dai flop (di critica) cinematografici di Super 8 o da quelli (di pubblico) televisivi con Alcatraz, il produttore spadroneggiava nel piccolo schermo con la sua creatura più riuscita, quel Lost che in molti cercano di imitare ma che pochi sanno raggiungere.
Decidendo di tornare al cinema, Abrams non solo rischiava grosso vista la sua carriera prevalentemente televisiva, ma soprattutto per la storia scelta, o meglio, la modalità. Il mockumentary, il finto documentario girato interamente in soggettiva con una telecamerina a mano aveva infatti già dato, film come The blair witch project o Paranormal Activity erano sì riusciti a catalizzare un pubblico numeroso ma avevano anche ricevuto critiche a non finire dagli addetti ai lavori.
Cloverfield arriva così nelle sale firmato da Matt Reeves e preceduto da una campagna promozionale ridondante, con creazioni di profili su social network ad hoc per ogni protagonista per aumentare la curiosità dietro il progetto. La diffidenza a questo punto dovrebbe essere già alta ma man mano che la storia avanza è difficile restare indifferenti ad una narrazione claustrofobica e frenetica.
Si parte con un risveglio, una coppia apparentemente innamorata che pianifica la giornata per poi passare bruscamente ai preparativi per una grande festa di addio. Rob sta infatti per partire per il Giappone, Beth non è però la sua ragazza ma l’amica di sempre con cui ha passato un’unica notte lasciando poi in sospeso il da farsi. Queste premesse da commedia romantica vengono però improvvisamente sovvertite quando un rumore fragoroso viene avvertito e Manhattan intera viene gettata nel panico. L’arrivo dell’esercito conferma le peggiori delle ipotesi, un’immensa creatura, indistruttibile, è caduta sulla Terra e semina panico e distruzione. L’evacuazione è in atto e i nostri si avventurano tra cunicoli della metro, strade deserte per salvare Beth in una lunga corsa contro il tempo e contro la morte.
L’adrenalina è a mille proprio grazie all’uso di un punto di vista unico che lascia ombre su molti punti, la scelta della camera a mano dà naturalezza ad un prodotto che non avrebbe lo stesso impatto in un girato classico: noi siamo con Rob e Beth, disperati e frastornati da una circostanza tanto assurda quanto (stranamente) credibile. Cloverfield deve la sua forza all’immersione totale del pubblico nella vicenda, a scelte stilistiche d’effetto come il non mostrare fino a pochi minuti dalla fine la feroce creatura o semplicemente facendo precedere la visione dal fantomatico avvertimento “Proprietà del Governo degli Stati Uniti gli spettatori stanno osservando una memory card del video del caso "Cloverfield" trovato in un'area precedentemente nota come "Central Park". Tutto questo e un finale amaro, lasciano quell’alone di mistero che negli anni non è cessato e che da solo rende giustizia ad un film per nulla banale.
Nonostante trovi l'espediente del mockumentary ormai un po' logoro, ho amato Cloverfield.
RispondiEliminaRicordo mi tenne inchiodato alla poltrona, e il tuo post mi ha fornito lo "spin" giusto per rivederlo... grazie. ;)
Di nulla! Dopo la prima visione che mi terrorizzò alquanto, l'ho rivisto da poco riuscendo a gustarlo moolto meglio :)
EliminaRicordo che non mi era dispiaciuto, ma dovrei rivederlo, non me lo ricordo più molto.
EliminaCiao Lisa (ho ricambiato il link! ^^)
RispondiEliminaAnche per me "Cloverfield" è tutt'altro che un film banale, forse il miglior lavoro (cinematografico) di Abrams, soprattutto a livello formale (i contenuti in fondo sono gli stessi di mille B-movie del passato, non particolarmente originali).
Ho amato in particolare la trovata di mostrare frammenti di ciò che era stato registrato in precedenza sul nastro della videocamera, in modo da offrire una sorta di "flashback" del passato dei ragazzi, una giornata solare che fa da contraltare a quella più cupa del presente. Un vero e proprio montaggio fatto direttamente in camera! ^^