Dicembre 1945.
La guerra è finita ma ancora ci sono i morti da contare, i feriti da curare, i lutti da piangere.
La guerra, quindi, non è finita.
E non è finita lì dove è passata lasciando un segno indelebile, lì dove ci si sentiva al sicuro, protetti dalle preghiere, e si è invece stati messi a dura prova.
Siamo in Polonia, e già questo potrebbe bastare, ma siamo in un isolato convento della Polonia, dove per tre giorni, e tre notti, i soldati russi hanno occupato stanze, cucine, suore.
A 9 mesi di distanza, a guerra finita, la guerra continua in modo interiore per queste sorelle che si ritrovano a dover mantenere segreti che sono per loro il peccato, a guardare in faccia, ogni giorno, a rivivere, l'infrangersi del loro voto di castità.
Ad aiutarle, un'infermiera volontaria francese, che con loro a poco a poco entrerà in confidenza, pur non condividendo la loro fede cieca, le loro paure, pur non comprendendo le loro azioni, la loro vita.
È una pagina di storia nascosta, quella che Anne Fontaine ci racconta, una pagina di storia probabilmente non isolata, con i tanti figli di nessuno della guerra, figli di violenza e disperazione, di cui poco o nulla si sa.
Ce lo racconta mostrandoci la desolazione nel freddo inverno polacco, lì dove la Croce Rossa presta ancora servizio, e quelle suore, titubanti, restie, faticano a farsi aiutare.
È uno scontro fra diverse ideologie, quella religiosa e quella atea, quella piena di fede e quella piena di scienza, ma c'è anche altro in ballo, tra una sessualità vissuta in modo libero e un timore reverenziale che mette distanza tra queste sorelle e la giovane Mathilde.
Ed è un peccato che se la protagonista viene ben tratteggiata, non altrettanto viene fatto per le suore, casi singoli che spesso sono quasi un cliché, drammi che si fanno in parte prevedibile.
Quasi anonime, sotto quei veli, lasciano campo aperto alla bellezza e alla bravura di Lou de Laâge, già apprezzata ne L'Attesa.
La pesantezza, visto il tema, vista la storia, è così in agguato, e il minutaggio eccessivo lo si sente visto come non aiuta ad approfondire maggiormente certe situazioni, certi pensieri, limitandosi a raccontare di parti, dolori, scelte sofferte. E sbaglia luce, il respiro, arriva solo con il sole finale, che illumina un convento di cui si sente ogni spiffero, ogni gelo, ogni paura.
La soluzione, semplice, è anche un insegnamento, che dimostra come la condivisione sia la migliore delle preghiere, anche verso quel Dio che chissà dov'era in tempo di guerra.
Agnus Dei è così un film che ha dalla sua una storia su cui mai ci si era fermati a riflettere, un finale lieto, pacifico, ma nel mezzo, quella pesantezza data dalla ripetizione e dal poco approfondimento che fa capolino, piuttosto scontata, ma non per questo meno giustificabile.
Regia Anne Fontaine
Sceneggiatura Sabrina B. Karine, Anne Fontaine,
Pascal Bonitzer e Alice Vial
Musiche Grégoire Hetzel
Cast Lou de Laage, Vincent Macaigne, Agata Kulesza
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Non so se riesco a reggere tutta questa pesantezza...
RispondiEliminaho il "leggero" presentimento che me lo risparmio. :)
Sì, direi che per quanto radical-chic e francese (anche se molto polacco), non è molto per te. Io sono stata stuzzicata solo dalla storia che lascia il segno.
EliminaNon è per nulla pesante, solo molto bello.
RispondiEliminaIo qualche parte l'ho patita, sarà che da mezza ciecata confondevo qualche suora e avrei preferito qualche approfondimento maggiore. Però bello, sì.
EliminaSarà tra le prossime visioni.
RispondiEliminaResto curioso, specie perchè so che è un film d'autore di quelli che Cannibal patirebbe! ;)
È materiale più per te, delicato e profondo, anche se a tratti troppo lento. Verrò a leggerti :)
EliminaGià il trailer mi aveva colpito. Spero che da me arrivi, che ho il desiderio di vederlo.
RispondiEliminaIo sono ricorsa a vie traverse, purtroppo è uno di quei fil di nicchia che escono solo in sale di nicchia.
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