E si ritorna sempre lì, a parlare di famiglie infelici, disgraziate, ognuna a modo suo.
Divise pure.
Tenute insieme dalle parole, brevi, centellinate, scritte su cartoline che tutti possono leggere, scritte in drammi per altri, ma che in fondo parlano anche di loro, scritte in articoli che si incorniciano, con un orgoglio che non può essere mostrato.
Perché si è duri, si è forti, si è feriti.
Dalla violenza che c'è stata, dalla violenza di una fuga, e di un'assenza che dura da 12 anni.
Si tenta di ricucirlo quello strappo, di tornare per prepararsi ad andarsene, quando la vita giunge al capolinea troppo, troppo in fretta, e quei 12 anni non sembrano più niente.
Le stesse urla, lo stesso caratteraccio, la stessa bassezza delle conversazioni, degli argomenti.
Lo sminuire, l'attaccare, anche chi, nuovo in quella famiglia, è una nuova preda, una nuova vittima.
Una vittima che sa, però, che intuisce, con la grazia e la timidezza di chi è buono, di chi davvero sa ascoltare e non solo riempire i silenzi con parole che non smettono di essere vomitate.
E allora il dubbio viene, viene da pensare che quella dichiarazione, quell'unica cosa da dire che ha spinto al ritorno un figlio, un fratello, sia una punizione, più che una una riconciliazione, un mettere fine a tutto, anche se la fine è già segnata.
Non è la fine del mondo, o forse sì.
Perché quelle parole, che potrebbero essere poche, ancora, non escono, non trovano il momento giusto perché non trovano le persone giuste, nessuno le vuole sentire quelle parole, no, nemmeno il più duro dei duri, con le nocche spezzate, i nervi a fior di pelle.
Meglio mentire, promettere, perdere tempo, ora che di tempo non ce n'è più.
Meglio andarsene nel silenzio, finalmente, lasciando un vuoto che non è più colmabile. No.
È la nostalgia che frega, verso un passato felice solo in parte, in cui si nascondono drammi che non ci vengono raccontati, in cui già si era annidata la morte, forse.
Chissà.
È uno Xavier Dolan decisamente maturo, quello che ci troviamo davanti.
Un Dolan che ritorna a sfiorarla, la tematica gay, ma abbandona il protagonista adolescente, mostrandoci invece un adolescente che è fuggito, e che ora, uomo, ritorno in quella che dovrebbe chiamare casa.
Si è stretti a lui, in primi piani strettissimi, claustrofobici, che diminuiscono l'ossigeno e i respiri assieme alle tante, tantissime parole che quella famiglia urla, confida, compone, in quelli che non sono dialoghi, ma monologhi.
Le esasperazioni di Vincent Cassel, le timidezze e i giri di parole di Marion Cotillard, i sogni giovanili, le speranze, di Léa Seydoux, le illusioni, i sogni ad occhi aperti e la praticità materna di Nathalie Baye.
E poi c'è lui, Gaspard Ulliel, dagli occhi umidi, nostalgici, dal fisico emaciato, a cui stiamo più appresso di tutti. Con lui ascoltiamo, subiamo, temiamo.
Stretti, in quella casa piena di ricordi, di cianfrusaglie, stretti in spazi stretti, in parole che non sembrano trovare una fine, in primi piani che solo qua e là lasciano respirare.
Dolan riprende la tecnica già usata sapientemente in Mommy, e ci mette a contatto forzato con la famiglia Knipper e i suoi bisogni: di parlare, appunto, di ascoltare, di conoscersi e sfogarsi.
Mette da parte, almeno un po', la musica, che fa capolino in scene che il fiato lo mozzano ancora una volta, tra un uso unico, stupefacente, di una canzone tamarra come Dragostea din tei, e un inizio che con Home is where it hurts di Camille dice già tutto.
È Dolan, è sempre lui, e non sbaglia un colpo.
Nemmeno quando adatta un testo teatrale (di Jean-Luc Lagarce) mantenendo tutta la sua teatralità, nemmeno quando cresce, e affronta temi ancora più maturi.
Non sbaglia, perché emoziona, tiene sospesi, incanta.
Non sbaglia perché dirige un cast stellare con mano ferma, regalando e regalandoci attori in stato di grazia.
Non sbaglia, no, Xavier Dolan non ne vuole sapere di sbagliare, e ci lascia nel silenzio, nel vuoto improvviso, in un sole che tramonta, su una giornata piena in tutti i sensi.
Ci lascia a riprendere fiato, finalmente, di nuovo.
Regia Xavier Dolan
Sceneggiatura Xavier Dolan
Musiche Gabriel Yared
Cast Gaspard Ulliel, Vincent Cassel, Marion Cotillard,
Léa Seydoux, Nathalie Baye
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Ahhhh, che invidia, Lisa. Tra te e Sauro... :)
RispondiEliminaE io che avevo lasciato il posto per Dolan nel listone e dalle mie parti, purtroppo, del film non c'è traccia?
Un posto se lo meriterebbe sulla fiducia, lo sai, purtroppo già lo si distribuisce poco e male, se poi esce assieme a tutti i cinepanettoni o si ha una saletta d'essai di fiducia come la mia, o si aspetta. Mi spiace.
EliminaRazionalmente, sono perfino riuscito a capire chi ha fischiato questo film... ovvero quella parte di critica che guarda solo all'aspetto stilistico/estetico. Ma per chi giudica i film con il cuore è impossibile non amarlo. Pellicola dolorosa e doverosa, straordinario ritratto umano di una condizione (la difficoltà di esprimersi) che, ironia della sorte, è sempre più comune nel mondo ipercondiviso di oggi. Per me il film più toccante ed emozionante della stagione... meraviglioso.
RispondiEliminaCome sai, il mio cuore comanda, e nonostante tutte quelle parole urlate, superflue, anche, sono i silenzi, gli sguardi di chi in realtà non riesce a parlare, ad avermi colpito. Dolan non sbaglia un colpo.
EliminaVoglio vederlo!
RispondiEliminaDevi! Impazzirai ;)
EliminaSono sempre più curioso di scoprire che impatto avrà Dolan quando arriverà per la prima volta al Saloon. ;)
RispondiEliminaPer la prima volta? Neanche Mommy? Neanche i primi magnifici 3 hai visto?
EliminaSì, sono curiosa anch'io.
Per me l'impianto teatrale è irricevibile: scene e dialoghi divisi in maniera meccanica, e che dialoghi! I due fratelli (uno muto, l'altro ben oltre l'isteria eppure accettati come "normali" dagli altri personaggi) mi hanno fatto continuamente uscire dalla sospensione d'incredulità. Continuo a pensare che Dolan sia uno dei più grandi di tutti, e anche qui si son viste scintille, ma a un certo punto non vedevo l'ora che finisse.
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