14 dicembre 2019

The Report

Andiamo al Cinema su Prime Video

Lo ripeto ancora una volta: a volte, meglio di una lezione di storia, di lunghi saggi noiosi, è meglio il cinema.
È meglio il cinema quando racconta pagine di cronaca che si devono sapere, personaggi e vicende che è bene conoscere. Per indignarsi, per evitare che questa storia si ripeta.
Può esagerare, può magari aggiungere (ritmo, conflitto) o togliere (le parti noiose) ma resta un mezzo efficace per divulgare informazioni, per rendere spettatori informati.
C'è modo e modo ovviamente per fare questi film-lezione.
Il migliore lo ha dimostrato Adam McKay con l'accoppiata La grande scommessa e L'uomo nell'ombra, producendo poi Hustlers e poi presto copiato da Soderbergh con i suoi Panama Papers.
Ora arriva Scott Z. Burns, che quei Panama Papers li ha sceneggiati e che da Soderbergh si fa produrre, a parlare non di bolle finanziarie o vicepresidenti ingombranti, non di truffe tra pali di lap dance, ma di torture: quelle inflitte dalla CIA ai presunti terroristi da loro arrestati e interrogati.
Le foto, i video, l'indignazione, la ricordiamo tutti.
Abbiamo in poco tempo introdotto una nuova spaventosa parola nel nostro vocabolario: waterboarding.



Scott Z. Burns ci mostra da dove tutto questo è partito: da una commissione richiesta dal Senato, una revisione degli anni di lavoro della CIA ad opera prima di un ristretto gruppo di persone, poi, man mano che gli anni avanzano e gli insabbiamenti non si contano, di due soli uomini.
Cinque anni di lavoro in uno scantinato segreto, milioni di pagine prima analizzate, poi prodotte a commentare quanto saputo e letto.
Ci si concentra sul capo, su Daniel J. Jones che si infervora, si indigna, non riesce a dormire o a smettere di lavorare, rischiando anche di passare per l'illegalità, di rendere pubblici certi documenti che dopo 5 anni di lavoro ancora nessuno conosce per la loro infamia.
I risultati di questa indagine (la caduta della fiducia, la vittoria dei poteri forti) la conosciamo e la intuiamo.
E Burns non mette a tacere i giochi di potere e i fili che si muovo nella Casa Bianca, che dentro ci sia Bush o Obama.


Al di là della Storia, a noi interessa come questa storia viene raccontata.
Viene raccontata affidandosi in toto all'uomo del momento: Adam Driver.
Anche qui stropicciato e indignato, esempio dell'uomo medio che deve fare i conti con qualcosa di grande. Non più un divorzio imminente e doloroso, ma menzogne, metodi scientifici tenuti nascosti che non sono altro che tortura.
Le sue urla, i suoi ragionamenti, le sue ricerche e i suoi conflitti interiori, tengono banco per tutto il film.
Ma non sarei onesta nel dire che alla lunga, la stanchezza ha il sopravvento.
Mancano le trovate leggere di McKay a spezzare la tensione, manca una narrazione briosa.
Che a onor del vero sarebbero stonate visto un argomento così serio.
C'è il ritmo per fortuna, quello sì.
E c'è una certa solidità, una certa urgenza con questa denuncia che sembra sentita anche da tutti i comprimari da applausi (Annette Bening, Jon Hamm, Maura Tierney, Matthew Rhys, Michael C. Hall per dire) che rende The Report quel film magari non propriamente necessario, magari non propriamente godibile, ma di certo un modo per tenere alta l'attenzione, non far abbassare la testa.
E a volte, questo basta e avanza.

Voto: ☕/5


3 commenti:

  1. Io, lo dimostra anche l'ultimo Polanski, non riesco proprio a familiarizzare con le inchieste. Troppa cronaca, troppa freddezza. Dato il tema pesante, rimando in attesa di eventuali nomination.

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    1. Freddezza ce n'è, anche quando Driver si scalda. A differenza di Polanski poi meno coinvolgimento e un ritmo che frena nella parte finale, quindi sì, puoi rimandarlo senza problemi.

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  2. Se sei uno spettatore interessato, allora il discorso cambia. Qui avrai pane e Adamo per i tuoi denti, tutti a livelli alti ;)

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