1 febbraio 2020

Judy

Andiamo al Cinema

Sì, Judy è un biopic classico.
Forse per questo né ai Golden Globe né agli Oscar ha preso altre nomination oltre a quella per Renée Zellweger (c'è il trucco, ma sempre alla Zellweger è abbinato).
Sì, Renée Zellweger è impressionante.
È un'altra persona, è proprio Judy Garland.
Si muove come lei, parla come lei, canta come lei.
La trasformazione ha qualcosa di incredibile, soprattutto se confrontata con quella vocina un po' svampita che la Zellweger ha.
Sì, la vita di Judy Garland è costellata di problemi.
Problemi personali, per lo più, che si sommano a problemi con gli altri che riportano a quelli personali, in un cerchio senza fine.



Ma stupisce come un biopic classico come Judy non sia così scontato da ricostruire tutta la vita della Garland, con un occhio di riguardo ai primi anni alla MGM e a un contratto infernale da rispettare, relegandoli invece a piccoli flashback che fanno chiarezza sulla dipendenza a farmaci e alcool, sul disinteresse al cibo e la tendenza a innamorarsi delle persone sbagliate, ai quali affidare tutta se stessa.
Ci si concentra allora sugli ultimi anni, anzi, proprio sull'ultimo anno della Garland: quello in cui in America non ha una casa e in cui non può crescere i figli, quello in cui decide di ripiegare su Londra, dove fan accaniti la aspettano ancora e sono disposti a pagare somme più generose per vederla.
Un po' come fatto e com'è successo a Stanlio e Ollio.
Anche qui la caduta fa più male delle luci della ribalta, il bisogno del pubblico, di strappare una lacrima o una risata, condizionano una vita intera.


Ma se il film procede su binari stabiliti, con un calo di ritmo a causa dell'ennesimo partito su cui non puntare, e se il tema politically correct viene toccato in modo genuino grazie ad una coppia di innamorati che idolatrano Judy, è innegabile che il film ha senso, si regge, esiste, solo grazie a Renée Zellweger.
Alla sua voce, alla sua presenza, alla sua performance.
Che cattura e impressiona, mi ripeto.
Così non ci si stanca a vederla sul palco, non ci si lamenta per bis, per nuove canzoni e la si aspetta, fedelmente, lei: Somewhere over the rainbow.
La canzone regina di una carriera, di una donna, che ancora si emoziona, ancora rompe la voce, nel cantarla.
Ma ci pensiamo noi, Judy, a intonarla per te, a non dimenticarla.
Grazie, ancora, a Renée.


Voto: ☕☕/5

6 commenti:

  1. Sicuramente è la solita storia e a fare il film è la bravura grandissima di Renée, ma tra i costumi bellissimi e la scrittura fortemente teatrale, con tanto di denuncia ai viscidoni di Hollywood, a sorpresa mi è piaciuto un po' più del previsto (soprattutto nella parte introduttiva).

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    1. Ma sai che la scrittura teatrale non l'ho percepita? Quando ne ho letto su wiki mi sono chiesta come avevano fatto a rendere tutto in teatro... forse senza i flashback.
      In ogni caso, piaciuto, e quella stoccata finale non può che portare alle lacrime.

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  2. Staremo a vedere se anche per me sarà così, ma le tue parole sembrano confermare le mie aspettative al riguardo...

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    1. Judy, ma soprattutto Renee potrebbero sorprenderti ;)

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  3. Dirò una cosa molto brutta, ma questo film l'ho maldigerito proprio per la "maschera" della Zellweger: una donna distrutta dai lifiting, dalla sua insicurezza, dalla voglia di non accettarsi. Aldilà del personaggio che interpreta, vedere quella faccia (mal)ricostruita mi mette a disagio, non lo nego.

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    1. Per quanto la Zellweger si sia mascherata negli anni, qui c'è parecchio trucco di scena, con protesi pensate ad hoc per renderla più simile a una Garland che visti gli eccessi di una vita, bene non stava nemmeno fisicamente... Detto questo, la sua trasformazione è davvero impressionante, in senso positivo, perché non la vedi più, non la riconosci più.

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