14 maggio 2020

Favolacce

Andiamo al Cinema a Noleggio

Siamo in una periferia romana da sogno borghese: piccole villette tutte uguali, giardini in cui ospitare amici, pure una piscina.
Insomma, tutto quello che serve per farsi belli rispetto al vicino.
Dentro quelle mura, però, si nasconde il peggio.
Si nascondono bugie e pulsioni, invidie e pressioni, che si sfogano dietro sorrisi finti, dietro convenevoli di circostanza.
Se il lavoro manca, le pagelle dei figli controbilanciano.
Se c'è la piscina, ci sono i pidocchi.
Se gli adulti non crescono o ne ne hanno voglia, i figli sono i primi a rimetterci.
Ad accettare loro malgrado la situazione, a sfogarla attraverso un'apparenza costruita dai genitori stessi, tra silenzi e pianti improvvisi.

Perché ci sono piscine bucate, piscine lasciate marcire, spiagge libere e non esclusive.
Queste famiglie fanno paura.
Per quella violenza che improvvisa esplode, per quella tensione che cresce, per quel voler essere amici prima che padri, evitando di capire, non riuscendo a capire, i silenzi, le intenzioni, il malessere.
Poi c'è Vilma, che una famiglia forse la sta per costruire, forse no.
Pronta per essere madre non sembra, gioca come una Lolita al contrario con Dennis, mostrando senza remore se stessa, il suo linguaggio esagerato, non certo a prova di bambino.
Non ancora adulta e genitore, non più ragazzina che si può permettere speranze.



Lo dico subito (o quasi) e onestamente: proprio quella sceneggiatura premiata a Berlino l'ho trovata il punto debole di un film in cui non mi è stato facile entrare.
Fatto di situazioni, di scene e momenti, di una scuola che finisce, di un'estate che passa in fretta, di una scuola che torna.
Fatta di dialoghi che vuoi il romanaccio, vuoi l'audio di Chili, non chiari e cristallini hanno interrotto l'esperienza cinema per cercare dei sottotitoli (che non ci sono) o di capire cosa Tommaso Di Cola (attore-bambino imperfetto) avesse detto.
Inconvenienti ai tempi della Fase 2, come quello di non poter godere su grande schermo un film che ha dalla sua una fotografia, una costruzione visiva di quelle scene, meravigliosa.
Campi lunghi, luoghi metafora, primi piani intensi e quella violenza che si nasconde alla macchina da presa facendo così più male.

Si costruisce un quartiere regno di favole e favolacce.
Dove le fotografie non mostrano la verità, dove dentro la scuola si nasconde il mostro e la sua soluzione mostruosa.
Dove immersi nella natura si starebbe bene, ma si è così i reietti, le pecore nere di questo microcosmo.
Dove anche se Elio Germano e Ileana D'Ambra rubano la scena appena entrano in campo, tra lacrime, sudore e una Sara di Paolo Meneguzzi cantata come un inno di speranza e sofferenza, i protagonisti sono ragazzini dalla faccia strana, che cercano di capirsi e orientarsi come possono.
I paragoni allora si sprecano, tra un Haneke ad altezza bambino o un American Beauty più brutale o un Giardino delle Vergini Suicide che comprende un quartiere intero.
Ma la verità è che Favolacce è Favolacce.


Meno immediato dell'esordio dei fratelli D'Innocenzo, più suggestivo.
Con la voce narrante di Max Tortora che racconta di una storia vera ispirata a una storia falsa non poi così ispirata, che gioca con la storia che racconta, proponendo nuove storie per andare avanti, un nuovo inizio per dare speranza.
Uscendo da quella periferia brutta e sporca de La Terra dell'Abbastanza, si entra in una fintamente perfetta, buonista ma dissacrata.
E mi stupisco, allora, di non essere riuscita ad amarlo di più un film così, a non essermi sintonizzata su questa sceneggiatura fatta a scompartimenti, di aspettare quel qualcosa che alla fine arriva, ma forse è già troppo tardi.
Poi ci pensi, ci rifletti, e capisci che è nel suo insieme, e non nelle sue piccole parti, che queste Favolacce danno il buongiorno.


Voto: ☕☕/5

8 commenti:

  1. Cerco di vederlo stasera, sono molto curioso!

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    1. L'audio purtroppo non è dei migliori su Chili, ma spero ti convinca più di me ;)

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  2. Per alcuni meglio de La Terra dell'abbastanza, per altri no, comunque sia credo che non rinuncerò a vedere anche questo ;)

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    1. Si leggono pareri contrastanti, chi grida al capolavoro, chi trova scopiazzature di troppo. Io ammetto di aver faticato ad entrarci e mi è piaciuto più a posteriori che durante la visione.
      Curiosa di leggerti, a questo punto.

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  3. Io l'ho trovato notevolissimo, e non so razionalmente neanche bene spiegare perché.
    A tratti confuso, in effetti pure i dialoghi non sono comprensibilissimi e in un paio di occasioni sono dovuto tornare indietro per risentirli. I pezzi del puzzle che sembra pasticciato alla fine comunque si mettono più o meno a posto. Come dici, è nel suo insieme che queste favolacce prendono la loro forma e la loro forza. Poi, vabbè, con quelle atmosfere tra Virgin Suicides e American Beauty in versione romanaccia, con me vincono facile. :)

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    1. O lo amavi o lo odiavi.
      Però mi sento meno sola nell'incomprensione, e c'è ancora un dialogo che non sono riuscita a sentire, dopo la terza volta che mandavo indietro mi sono arresa.
      Speravo di innamorarmene subito, mi devo accontentare di apprezzarlo a posteriori, con la scena di Elio Germano difficile da togliere dalla testa.

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  4. Ho avuto la stessa sensazione, cioè di non riuscire ad apprezzarlo nonostante fossi ben disposto.
    Non lo so, anche i campi lunghi e le inquadrature non mi hanno convinto; ho avuto una sensazione continua di deja vu.

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    1. Capisco!
      La mia sensazione era più che non iniziasse mai, con una trama troppo frammentata. I pezzi si sistemano a posteriori, riflettendoci su, che è un bene come un male.

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