10 aprile 2024

Ripley

Mondo Serial

Mi sono scagliata contro Netflix per quella che è la sua serie fenomeno del momento, la sua serie evento, quella che fa record di streaming ma che raccoglie pochi consensi dalla critica, e cerco di farci pace con un'altra serie evento, o almeno lo è per un abbonato diverso.
C'è chi cerca azione, mistero, frasi ad effetto e sceneggiature che sfornano meme, e c'è chi cerca un minimo di qualità.
Ripley, in questo caso, ne ha da vendere.
Ero la prima ad essere scettica di fronte all'ennesimo remake, a un nuovo adattamento dai romanzi di Patricia Highsmith, soprattutto visto come Il Talento di Mr. Ripley è stato uno di quei film intriganti e affascinanti soprattutto in Italia per via, beh, dell'ambientazione italiana.


Ancora me lo ricordo, la prima volta che l'ho visto in VHS noleggiata, stupita di trovarci i fratelli Fiorello, la Sicilia, tutta questa Italia fra star mondiali com'erano Matt Damon, Jude Law e Gwyneth Paltrow.
Ingenuità di gioventù.
Ingenuità anche nei confronti di quello che è sì un remake, ma che in quanto serie TV si prende molto più respiro.
A rassicurare, poi, che dietro il progetto, a scriverlo, dirigerlo e produrlo, ci fosse Steven Zaillian.
Sceneggiatore premio Oscar per Spielberg, uno di quelli che stanno in sordina, scrivono poco, ma quando lo fanno lo fanno con la zampata.
Non è un caso che per il piccolo schermo abbia prodotto, scritto e diretto The Night Of, serie HBO di cui si è parlato poco ma che merita ogni recupero.
Ma torniamo a Ripley.


Annunci un remake, e il confronto si fa inevitabile.
Per evitarlo, mi sono evitata di rivedere il film di Anthony Minghella.
Perché farmi del male?
Già lo sapevo che il cast non era all'altezza, non tutto almeno.
Anche se per Johnny Flynn ho una cotta che non cede, non può reggere il confronto con Jude Law, soprattutto con il Jude Law del 1999. Per fortuna ci pensa Andrew Scott ad essere più affascinante, ma anche più sinistro, rispetto al Thomas Ripley di Matt Damon.
Non me ne voglia infine Dakota Fanning, ma fatico sempre a metterla a fuoco. Qui ancor di più.
Fortuna che c'è Andrew Scott, dicevo, che rende Ripley un truffatore talentuoso e imperfetto, fortunato e intelligente, ossessionato e stanco. Uno spirito plasmabile che parte da New York per arrivare ad Atrani, per poi spostarsi a San Remo, Roma, Palermo e Venezia.
Sale e scende, deve vedersela con albergatori ligi, con fidanzate opprimenti, con banche sospettose e con scale che lo perseguitano.
Ci sono motivi ricorrenti, in questa fuga che sembra eterna, in questi sospetti che non si sopiscono nei suoi confronti e c'è una certa ironia nel raccontare questa sua scalata al denaro, alla posizione, alla sicurezza. Dove i piani sono improvvisati ma la calma regna.


E poi c'è Caravaggio.
Con cui identificarsi, da emulare e ricercare, a cui rubare gli espedienti artistici.
C'è la luce, quindi, che gioca un ruolo fondamentale in una serie TV che opta per il bianco e il nero in cui sono i grigi a fare la differenza, con inquadrature volta per volta perfette.
Ogni dettaglio è studiato, ogni geometria rispettata, e lo sguardo resta ipnotizzato.
Ci vorrebbe Zaillian per vendere l'Italia a ogni turista nel mondo, la vende pure a noi, italiani nostalgici con le musiche migliori, gli attori migliori, le città migliori.
Infine, ci sono gli sguardi: che osservano, che studiano, che cercano di stanare Ripley che da quegli sguardi si sente osservato, studiato, stanato.
Come dentro un romanzo d'appendice d'altri tempi, ogni episodio diventa una piccola storia a sé, parte di un puzzle che parte dall'ossessione e arriva alla liberazione, con in mezzo il sangue, le bugie, il denaro. 
Sperperato e mai il fine ultimo, in fondo.


Sono le maschere, che interessano, le tele che si dipingono, la luce e le ombre che si decidono di mostrare, a compiere il quadro finale fatto di tanti dettagli.
Fatto di beffe e di fortuna, certo.
Ma anche di talento.
E in episodi che richiedono pazienza, in cui il silenzio vince sulle parole e lo studio del personaggio sulla storia, vince la qualità.
La saga scritta da Highsmith prevede altri quattro capitoli diventati per il cinema film meno famosi di quello di Minghella.
Chissà se Netflix chiederà, se Scott accetterà, se Zaillian ci regalerà altre gesta di simile impatto.

Voto: ☕☕½/5

7 commenti:

  1. Lisa se dici che è bella la guarderò, anche io ho visto il film di Minghella, e la tua recensione mi ha messo curiosità :)

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    1. Bella e di qualità, richiede un filo di pazienza perché rallenta il ritmo, ma pian piano prende con il suo fascino.

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  2. Ho visto le prime due puntate ho notato, oltre a fotografia e tagli di ripresa folgoranti, una certa lentezza che le serie tv coltivano neache troppo inconsapevolmente..

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    1. La lentezza iniziale credo serva per avvolgere nell'atmosfera rilassata di americani in vacanza, ma vedrai che appena Ripley inizia a fare le sue mosse, anche se non concitato il ritmo avanza e la regia folgorante fa il resto per non farti mollare più.

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    2. Hai ragione: un diesel inesorabile e fantastico.. con la voglia ripetuta di stoppare e tornare indietro a godere i frames, ogni fotogramma capolavoro, le inquadrature magiche, i movimenti lievi di macchina.. dimentichi anche la storia passando sopra le pecche di sceneggiatura..

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  3. Finalmente una serie americana che riesce a "vendere" l'Italia in una forma sì idealizzata, ma non da cartolina stereotipata. A questo punto propongo Andrew Scott come testimonial di una nuova campagna nazionale che vada a sostituire la Venere influencer di Open to Meraviglia :)

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    1. Hai il mio voto, Andrew potrebbe vendermi anche un gita alla zona industriale del paesello di periferia :) che poi, si presterebbe bene alla fotografia decadente di Ripley.

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