Cambiare casa significa per forza di cose passare all'Ikea.
Che ci provi tu, memore delle esperienze passate, a farne meno, ma è più forte dei piccoli negozi, dell'internet e degli acquisti on line, un giro all'Ikea lo si deve fare.
E ci provi, ancora, a dire che ti serve poco, che bastano quei due o tre oggetti che hai in lista, ma te ne esci con il bagagliaio della macchina carico e fortunatamente abbastanza ampio da accogliere quanto comprato.
È che ti frega, l'Ikea.
È che una perfetta metafora dell'oggi, l'Ikea.
Il modo in cui ti presenta case ideali, cucine ideali, soluzioni semplici, geniali, da copiare, che finisci per aggiungerle alla lista. Sono quei prezzi, poi, così bassi, quelle linee semplici e intramontabili, quell'avere tutto, praticamente, a portata di carrello. È il consumismo, l'invidia per gli altri, la voglia di avere e possedere, e che porta ad essere tutti uguali.
Io ci sono ricascata, ancora una volta, lunedì.
"Andiamo di lunedì, approfittiamo di una giornata libera dal lavoro, ci sarà meno gente, andiamo a pranzare lì, meno gente ancora, e al massimo in un paio d'ore abbiamo fatto."
Quattro ore, invece, il tempo totale della nostra permanenza.
Quattro ore, sottolineo.
Una in più rispetto a quella dispendiosa missione di dover arredare e infarcire un intero appartamentino.
Vero, ora si parla di una casa intera, ma si parla di una casa già in parte arredata, in cui molti vecchi arredi sono tornati utili.
E allora, com'è che quattro ore della mia vita le ho dovute passare fra Billy, Laiva e Lack?
È che ti frega, l'Ikea.
E soprattutto, si fa altra metafora.
Si mostra nel suo splendore, ti fa sognare all'inizio con installazioni, progetti, esempi, ti stuzzica con cesti di offerte, con il suo protrarsi in modo lineare che ti spaventa: ho il tempo di ripensarci? Non posso tornare indietro, poi, a riprendere anche questo? Meglio prenderlo subito.
E così, vai avanti, in una linea retta fatta di curve e cubicoli da sogno, vai avanti, scendi, scopri nuovi mondi, nuove possibilità, segni tutto, vuoi tutto, finché non ti ritrovi in un magazzino triste, tra imballaggi tristi e anonimi, in numeri da controllare, in scaffali e posti da trovare, a caricare tutto nel tuo carrello, chiedendoti se ne vale la pena, anche se ormai l'hai scritto, l'hai segnato, quel sogno l'hai fatto tuo e te lo devi pure montare.
Ti frega, l'Ikea.
Perché fa emergere il tuo vero io.
E li vedi, lo sei, una di quelle coppie che ci litiga all'ikea.
Che saranno anche cliché, ma sì, la donna -io- guarda all'estetica, gli uomini -il giovine- alla praticità, lei al pendant, lui alla semplicità, lei al superfluo, lui all'utile.
E si arriva spossati, con i nervi a fior di pelle, per ogni battaglia vinta o persa, per ogni oggetto messo o lasciato dentro o fuori dal carrello.
E ci si compatisce a vicenda, fra coppie, all'Ikea. Sguardi stanchi, che si sollevano, che si abbassano.
E in questo vortice, in questa missione suicida che nasconde sogni, progetti, futuri da condividere, si arriva alla fine, alla mia parte preferita.
Alle casse.
E non perchè è la fine, quello no, perchè la fine significa essere dove il cuore sussulta e perde un battito al sentire il totale. Ma qui è anche dove si sbircia nei futuri, nei sogni, di chi è in fila con te.
Di quella donna che preferisce la semplicità, e tutto di bianco arrederà la sua casa.
Di quella mamma che al figlio prende piccole sedie, piccoli tavoli, piccoli giochi.
Di quella coppia romantica che profumerà la casa con dozzine di candele che magari mai accenderà.
Di quell'altra che punta sul moderno, sulla moda, seppur in economia, inconsapevole di come fra un paio d'anni si ritroverà nuovamente all'Ikea, in fila e con un carrello pieno e scatoloni a casa da buttare.
E poi ci sei tu, ci siamo noi, che come sempre esageriamo, che prendiamo altre librerie su cui sistemare future letture condivise, un altro mobile TV per le serate su un altro divano, altre lenzuola su cui essere felici, altre cornici per incorniciare i momenti più belli e altri calici con cui brindare al futuro, ai sogni che verranno, con o senza manuale d'istruzione.
Che bello questo post. L'Ikea è proprio una metafora della vita di oggi, lo penso sempre. Io passeggio, compro solo quando serve - sotto Natale faccio un'eccezione per quei biscotti allo zenzero nel contenitore di latta rosso - e sbircio chi c'è, chi compra. Sicuramente mi sarò fatto involontariamente i fatti anche di una coppia simile a voi. :)
RispondiEliminaAh, domandona. Ma come si mette il riquadro attorno alle foto, su Blogger, che non lo so?
Grazie! I biscotti allo zenzero di cui ormai colleziono le scatole, ci sono anche adesso che non è Natale, e ovviamente il giovine se li è comprati :)
EliminaLa tua domandona mi ha mandato in crisi, un modo c'è, e a suo tempo lo avevo scoperto, ma aprendo tutte le finestrelle e voci del caso non sono riuscita a ritrovare come si fa. Chiedo aiuto agli esperti.
Ah, anch'io li ho anche se non è Natale. E pure quelle ciambelline alla cannella in congelatore, ma non oso accendere il forno: mangio insalate da un mese. :)
EliminaOra curioso un po' anch'io, magari Youtube me lo spiega. Voglio il riquadro, ho deciso che non desisto.
Ci sono andato solo una volta e avere la sensazione di esser come le vacche che vanno al macello proprio non m'è piaciuto, in più è un bordello pazzesco, certo, perderei un giorno e comprerei qualunque cosa (soprattutto se come te affrontassi un trasloco o campagna da arredare), sta di fatto però che non ci sono più andato e forse mai più andrò ;)
RispondiEliminaMe lo dico sempre anch'io, ma poi ci ricasco e l'Ikea mi frega. Almeno questa volta ho scelto il giorno e l'ora giusta, meno vacche al macello, più tempo da perdere però...
EliminaUn ritratto dell'Ikea poetico, ma anche un pochino inquietante.
RispondiEliminaE alla fine non so dire quale dei due aspetti abbia la meglio... :D
Commento profondo: pure la vita, a seconda dei punti di vista, può essere inquietante e poetica, basta non lasciarsi travolgere dallo shopping compulsivo ;)
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